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CASSIBA GIUSEPPE - TESTO DI ANDREA GUASTELLA

 

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NELLE AFRICHE DEL CUORE

Osservava Alain nel suo Système des beaux-arts che “la linea del disegno non è affatto l’imitazione delle linee dell’oggetto, ma la traccia di un gesto che si appropria della forma e la esprime”. Che è come dire la scia, la messa su carta di un movimento mimico, uno di quelli che, persino in regime di contatti impersonali, ancora si usano per enfatizzare l’evocazione di un ente o di un evento. Con questa intuizione, il filosofo francese ci introduce alle sorgenti del linguaggio, al momento iniziale in cui l’immagine e la cosa coincidono, senza filtri temporali e senza mediazioni. Un miracolo che, dal Paleolitico in avanti, si è ripetuto ogni qual volta un bimbo o un primitivo hanno raffigurato, ad esempio, un animale, convinti che la loro creazione fosse l’animale stesso e non un suo banale replicato. Frutto di un’attività artistica spontanea, non condizionata da precedente esperienza figurativa o da fini pratici? Tutto il contrario. Posto che, se un bambino disegna qualcosa lo fa perché la vuole, e se ci riesce ciò accade solo dopo molteplici, penosi tentativi, è stato dimostrato che un’utilità concreta e addirittura un carattere magico sono propri degli schizzi di Altamira e di Lascaux. Raffigurando, o piuttosto prefigurando con l’immaginazione l’incontro nella radura col cervo e col bisonte, i nostri antenati credevano di firmare un’assicurazione sulla vita. Il loro non era un progetto, uno schema di caccia. Era un modo di anticipare visivamente l’avvenimento tanto atteso, sottraendolo all’incertezza della sorte. Per il cacciatore non esiste infatti che la preda, e il passo della preda è anche il proprio. Non sorprende, perciò, che egli non si soffermi più di tanto sull’anatomia dell’animale, rappresentando solo ciò che arriva a percepire nell’attimo esatto in cui si tuffa su di lui: la testa, l’inarcatura della schiena, le masse muscolari. Impressioni fulminee ma non per forza schematiche, dal momento che un’inquadratura rapida mette a fuoco dettagli che l’osservazione pacata non rivela, e spesso un accenno istantaneo suggerisce l’insieme più di una descrizione dettagliata. È in questa presa diretta, quasi violenta sulle cose il fascino dei disegni “africani” di Giuseppe Cassibba: pastelli rapidissimi, realizzati in economia assoluta di mezzi e di colori, eppure in grado di fissare con nitidezza impressionante un volto, una postura, un’espressione. A quale scopo? L’artista moderno non è un cannibale, né tanto meno un uccisore di bestioni; fanciullo whitmaniano che va incontro alle cose e in esse si trasforma, egli ha solo fame d’anima, di una sincerità di pensieri e sentimenti di cui il nostro tempo sembra privo, ma che egli ha imparato a riconoscere nelle Afriche del cuore.

 

Andrea Guastella

 

 

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