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AVVERTENZA
( per un combattimento di paladini )

Vorrei dire ai signori ai quali piace
godersi la contesa che non sono
soltanto due i guerrieri che combattono;
che è solo uno ( nemico di se stesso )
e forse sono cento contro cento
in confusa battaglia.
                          E inoltre avverto
che spada elmo e corazza luciferanti
non hanno proprie radiazioni,
ma riflettono lumi presi a prestito
da logori prosceni o ribalte avanzate;
che il sangue che vedrete zampillare
non è globalità individuale,
ma un intruglio di ruggine antichissima;
che insomma le parole di livore
nella sorda tenzone gorgogliate
dai paladini ( mistici ciarloni )
si possono confondere persino
con professioni di amicizia; e che
se cade l’uno può darsi che sia
l’ altro a schiantarsi al suolo
imprevedibilmente.
                           E dunque, amici,
non vi tragga in inganno
alcuna smorfia perfida o indulgente:
se vi saranno accenni assolutori,
o di pietà, o di intesa, non cascateci.
Qui nulla è certo. Combattono. Applaudite.

 

LO STILO DELLA MERIDIANA

Se puntare al cosmo zenitale
restando infisso nel silenzio
d’un circolo graduato è il suo destino
mentre vortica il tempo
intorno alla sua immobilità
la sua ombra sottile cammina
docile alle fàcole abbaglianti
d’una stella immota, e invoca la parola
dell’uomo nei momenti variabili
di allegrezza o di affanno al breve soffio
d’un giorno o al termine inatteso
di una disputa insoluta.

 

PARABOLA

Già il viticcio si assottiglia
e lascia l’abbraccio ai sostegni
del balcone dov’era salito
il vitigno magliocco lungo il salice
e si allineano i tralci e qualche foglia
già cambia colore, si fa pallida e smorta,
e poi – fugace lampo di vita –
comincia ad accendersi, ad arrossire, forse,
per quella sua tenace vanità
d’essersi arrampicata così in alto.
Ma giù i pampini rossi del vigneto
anch’essi vergognosi
d’esser rimasti a striscio sulla terra.

 

LE  PATURNIE

 

Buona sera    buona sera

gente non mia    gente non più mia

buona sera giornatiere a guardia di biade

buona sera bagolaro arcidiavolo coi bagoli dell’infanzia

e a te opunzia traditrice    a te sommacco peloso

terra non più mia    gente non più mia

rattoppatori di barche rosicchiate dal sale e dalla luce

a te casa storpia sulla timpa che slama

a te ariballo scovato nella tomba di tremila anni fa

buona sera al geranio al papiro al tufo e allo zolfo

a voi acri zaffate di maccalube

a voi empori pidocchiosi colmi di semi di datteri

all’ombra del Simeto di conifere e d’orafi dispersi

a voi rossi foruncoli del nero Ciclope

che vomita secoli di fuoco e rabbia di voragini

buona sera gente di Creta e di Micene

sicani e greci    èlimi e fenici    gente non mia

buona sera alla gravida e scura core rapita

scura e bionda come un’ape accanto alla dea

curva in preghiera dopo il coito indemoniato

( e anche a te Angelica agitata dallo chablis )

buona sera

buona sera uomo poeta o poeta uomo

grande poeta stizzoso pronto a essere sbranato dai cani

e anche voi poetini rimasti qui

aggrappati allo scoglio a bervi fumo e veleno

a guardare bandiere di fuoco di cupe ciminiere

buona sera ai cocomeri asinini partiti di colpo

appena sfiorati dal piede sulla sabbia rovente

a voi tutti licheni di sciara    agavi e mirti

piastre d’oro sepolte    fusti scheletrici

d’opunzie morte    pietre travolte di Naecton

accidia medioevale    aromi appassiti di necropoli

buona sera zoòn politikòn

concepito per burla    al venditore di lupini

straccione instancabile per poveri e signoria

al petrolio pompato per falso risparmio energetico

all’asfalto degli Iblei    ai salinari di Drèpana

alle tonnare    ai grossi cànapi con sugheri e ormeggi

alla camera della morte schiuma e sangue

buona sera

alle cave di pomice    alle sabbie nere

al fico grande    ai capperi rupestri

all’erba scorzonara    alla bocca della tonnara

alla donna lupa in amore    alla donna/peccato

buona sera al suo nido nero fra le cosce

coperte da doppio filo zeppo di sale di contrabbando

buona sera alla garriga

che sei la mia ricerca e la mia tomba

garriga non mia    steppa di xerofiti

gente che non siete nel dolore

e nemmeno nella rivolta d’asini da fiera

emigrati banchieri in America

proprietari di una flotta di rimorchiatori a N.Y.

che tornate al nespolo di casa per morirvi

buona notte

buona notte dunque gracilaria rossa

zostera e fucus che cambi colore

addio fiumi di palma nana

tapsia asfodelo saturea fruticosa

voci disperse di venditori di origano

voci di vecchio stepposo che vende segatura

addio betulla cespugliosa    astragalo

di Piano del Lago    vini rossi e bianchi

uve di carricante e cataratto

gelsomino arabo carrubo arabo    pistacchio arabo

papiro dell’Anapo    stagnone di Mozia

mazzesorde del Tellaro    pulvini di spino santo

eucalipti oleandri assenzio antirrino

caprifoglio e prezzemolo    apio e sélinon

e addio pesci a branco simultaneo ceruleo

acciughe ghigliottinate dalle reti color caffè

addio pecore brune    mafioso che sei là

e tutti ti vedono belva che non basti a te stesso

addio gentilezza    mare gentile    destino dei mansueti

polpo e cozza    grotte marine    buche di  primigeni

addio ruvida bocca sottile di silenzio

di madre nera

isola addio    grotta nella grotta

mare nella grotta    grotta in fondo al mare

gente dall’animo aguzzo e il cuore d’una colomba

gente non più mia    astri e indovini e guaritori

arancia risucchiata

sull’albero verde a morire    mosto che cola

dalle botti vecchie a sbrèndoli di ragnatele

datteri pietrificati    uccelli veri e finti

timoniere di allodole sul feudo abbandonato

pupi stravolti e lucenti paladini di Francia

incanto di Malagigi con l’origano in bocca

addio portatrici d’offerte    funeree piagnone

sull’ombra di Persefone ora per sempre negli inferi

isola addio

hai voluto il silenzio    resta nel tuo silenzio

così leggera è la nostra creta

che un bottone premuto    la musica di un’unghia

possono tutta cambiarla    e tu lo sapevi

perdona le paturnie    ho qui alle tempie

l’ultimo guizzo d’un piede nudo

sulle dune salate.

 

 

 

(  La  catastrofe )


Abbiamo prodotto vibrazioni oceaniche

e tentato gli enigmi,

scoperto molte assurde verità. Ma forse

non troveremo più il carabus cancellatus

tra il cumino dei prati

e un’oscena finestra nell’ozono

occhieggia sulle nostre teste.

Ma è ancora presto. A detta di un poeta, già morto,

la catastrofe è stata rimandata.

Avremo il tempo, figlio, di andare a caccia,

non falliremo il tiro alla borrita.

E tu non farci caso se sul muso

trafelato del cane

vedrai macchie di sangue

delle ultime allodole dal ciuffo sulla nuca.

 

 
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