VARIAL APPUNTI PER UN DISCORSO PROVVISORIO Ormai, a terzo millennio iniziato, sospesi in vie di mezzo, tra ciò che siamo e ciò che saremo, forse affrontiamo senza lasciti particolari, un presente velocissimo e multiforme che non lascia preavvisi o non offre neanche il tempo per ipotizzare un futuro possibile, o per elaborare almeno una poetica che permetta di riassumere i valori, quei contenuti che in ogni caso possano aprire vie per sognare e, perché no, per coltivare almeno l’utopia. Preoccupati a cercare eredità in un novecento che ci ha lasciato, nel panorama dell’arte tutto rimane possibile nello spettacolo dello schermo quotidiano che ci accoglie, comunica, informa, forma e conforma. Per le vie della spettacolarizzazione di ogni fatto e di ogni cosa che, trasformandosi in immagine, diviene evento, capace di destare stupore e meraviglia, la vita come la morte, vestendo di bellezza e di valori estetici tutto quanto ci circonda e ci avvolge. La bellezza è ovunque, ma soprattutto nello sguardo, uno sguardo che esercita una pratica del vedere veloce, davanti al quale le immagini si susseguono e si sostituiscono, attimo per attimo, attraverso la magica voluttà di uno zapping continuo. Lo spettacolo del vedere mostra quasi ciò che è percepibile da uno schermo ottico dal quale la realtà appare sempre più filtrata e ciò che è percepito è sempre più labile, più mutevole, sempre più sostituibile con altrettante immagini. Assistiamo alla perdita di uno “sguardo concentrato” in favore di uno “sguardo itinerante” nel ipermercato della cultura, capace di individuare, calarsi nei valori estetici di una confezione e comprare una scatola di pomodoro pelato come un libro da uno scafale di libreria; capace di consumare il prodotto e sostituirlo con un altro, lasciandosi sedurre da processi di “fascinazione” tanto esaltanti quanto facilmente consumabili e dimenticabili. Per essere attratti da ciò che diviene nuovo oggetto del desiderio o da ciò che la “moda” carica di stile e di bellezza. Nell’ipermercato dell’arte sono esposti i resti di un novecento che ancora è presente e resiste, ma sono mutati i sensi e i significati attribuibili all’opera e si percorrono strade senza una segnaletica visibile. Un novecento che non ha lasciato indicazioni e indirizzi che possano orientarci in un post-postmoderno all’interno del quale ogni forma di espressione è possibile e si carica di bellezza. Dopo la crisi degli anni novanta con i suoi “neo ismi”, il tempo presente ci conduce in un terzo millennio claudicante che non si scrolla di dosso il peso di una modernità che resiste e che tuttavia muove i passi in un tempo nel quale ogni rappresentazione e il suo contrario formano un immaginario collettivo esaltante, sempre in progress, sempre più sconfinabile in un universo nel quale ogni cosa si presenta come spettacolo. “Gli individui contemporanei”, dice Ives Michaud, si rispecchiano nella moda intesa come insieme i simboli, di modi di presentarsi, di comportarsi, di parlare, di organizzare e decorare l’ambiente, e come predominio temporale delle ‘tendenze’”, generando fragili e mutevoli rapporti tra arte e identità in un sistema di relazioni che non permette definizioni possibili e nel quale, come dice Baudrillard, “la forma merce è il primo grande medium della modernità” e “bisogna fare dell’opera d’arte una merce assoluta (…) per “diventare più merce della merce”. Le opere si offrono al nostro sguardo con la seduzione di una oggettualità prorompente o nell’assenza di una oggettualità che le dimensioni, con la fascinazione di una merce in esposizione o con l’inafferrabile visionarietà di una rappresentazione televisiva e lo sguardo, quasi dietro a delle lenti “varial”, si adatta a contemplare pratiche e procedure e a vivere una esperienza estetica che ha bisogno di continui adattamenti tra forma e informe, tra immagini che non posseggono elementi che possano ascriverle all’interno di poetiche o di generi. In un fantasmagorico paesaggio culturale, sospeso tra manualità e tecnologia, che passa dalla astrazione alla figurazione, dalla pittura alla pittura pittura alla post pittura, dalla scrittura alla singlossia, dalla installazione alla fotografia, dal video alla performance, dall’utilizzo del corpo al teatro, dal concettuale agli assemblaggi di materiali che divengono essi stessi oggetto di poesia e di contenuto tra sconfinamenti e richiami, contaminazioni e attraversamenti fra i linguaggi, che caricano di fashion nuove e imprevedibili metafore e analogie. Il paesaggio anche dell’arte, multiforme e vario, affascinante come uno spot pubblicitario e, come la pubblicità, seducente ed effimero, che si offre al mutevole sguardo “varial” di un contemporaneo all’interno del quale allestiamo l’imprevedibile e comunque esaltante spettacolo dell’esistere. FRANCO SPENA Caltanissetta 10 07 2008 

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