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ANGELO GUASTELLA - TESTO DI ANDREA GUASTELLA

 

“L’artista”, ha scritto Saint-Exupéry, “è un viaggiatore che mostra a degli esuli le foto della loro patria”: una patria tanto più distante quanto più desiderata, e tanto più presente e viva quanto intenso è il flusso di amore convogliato dall’artista sull’immagine, vero doppio di una realtà percepita come autentica, attuale. La patria di Angelo Guastella, nonché degli uomini capaci ancora di stupore, è il sogno: quel sogno che, come egli stesso spiega in esergo a un suo libro illustrato, “è una piccolissima realtà”, mentre “la realtà è un grandissimo sogno”. E in questo spazio onirico noi possiamo muoverci con libertà straordinaria, quasi fossimo una delle farfalle che solcano i suoi cieli di cristallo. Lo scenario dei sogni, si sa, è spesso uguale. Nulla di strano, perciò, che gli sfondi della pittura di Guastella siano quasi tutti esemplati sulla campagna iblea, coi caratteristici colli puntellati di alberi e traversati da lunghi muri a secco. A far la differenza, come accade nei sogni, sono difformità minuscole, infinitesime variazioni nel tono o nel soggetto, sicché sull’individuazione delle opere prevale una corrente narrativa, come se l’autore, anziché concentrarsi sul dettaglio, intendesse evocare i momenti di una storia. Dove corrono, trasportati dal vento, quegli ombrelli? E cosa mai avranno da discutere a quartara, a scutedda, a bummula, u scaffamanu, u cannisciu, u scaniaturi, u cufinu, u sicciu e u panaru riuniti in un magico cerchio? Sognate. Non troverete, probabilmente, una risposta. Ma tornerete a casa.

Andrea Guastella

 

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