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CARLOS FREIRE - TESTO DI ANDREA GUASTELLA

 

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Il viaggio come nozione che permette di relazionarsi col tempo e con le cose attraverso la pratica di un’esperienza di luoghi e persone che lasci tracce nel cuore, appare il motivo conduttore della mostra fotografica “Luci del mondo, Viaggi e incontri” di Carlos Freire, curata da Salvatore Gagliano, presso la Sala della Pigiatura e la Sala del Torchio di Villa Gussio, una dimora storica del XIII secolo  a Leonforte, trasformata in un elegante Hotel Golf &Resort. Una pratica di lettura e di interpretazione che non solo permette di conoscere, ma consente di conoscersi nella relazione, che non è solo quella che si instaura attraverso l’obbiettivo, ma  è anche quella dell’incontrarsi di realtà e culture percepite attraverso immagini che divengono oggetto di suggestione e memoria. Immagini, in questo caso, che portano con sé, attraverso la fotografia,  soggetti e contesti che assumono valore emblematico, quando è la vita stessa che, nei luoghi e nelle persone, trova le coordinate per attraversare l’anima,  per esprimersi attraverso un’esteticità che è equilibrio di forme  ma anche documento che permette di mettersi in sintonia col mondo e con le cose. Con i fatti anche, quando a costruirli sono uomini, caratteri, se vogliamo, personaggi che del loro passaggio, del loro “viaggio”, lasciano tracce profonde, un’innegabile presenza del loro esserci e dell’innegabile energia che si fa cultura e storia. Storia anche di piccole cose, di sguardi, di un trovarsi al margine, ai confini del mondo, ai confini di una realtà psicologica che a volte si percepisce per caso e che solo lo sguardo di chi coltiva la meraviglia e l’entusiasmo riesce a cogliere.
Carlos Freire è capace di leggere così l’anima del grande personaggio come quella di un pastore d’oriente, come quella anche che sottende un’apparente scena di genere. Quella che fotografa dunque appare come una realtà di immagini che tornano a percepirsi come testimonianza che attraverso la distanza assumono caratteri di assenza quasi metafisica. Poiché Carlos Freire, mentre fotografa non nasconde un foste senso di partecipazione alla vita del soggetto che si esprime con immagini che innescano ulteriori viaggi all’interno di fatti, persone e cose che sono quasi delle “peregrinatio”, delle soste, delle riflessioni, delle scoperte all’interno di eventi vissuti come mondi infiniti da contemplare, da cogliere e da esplorare. Sono così gli sguardi dei personaggi che emergono dai suoi scatti, sospesi a volte, quasi smarriti come quelli di Francis Bacon, magicamente disperso, quasi dolente, immerso in uno studio che ne fa quasi un personaggio delle sue opere o quello pensosamente sorpreso di Natalia Ginsburg o quello di Andy Warhol in posa, esposto con la stessa intenzionalità di una scatola Brillo.
Così si sviluppa la ricerca di Freire, fotografo viaggiatore, raccoglitore di immagini, di luci del mondo, di luci che sono personaggi che hanno lasciato una traccia, ma anche persone semplici che portano con sé, qualcosa che rende prezioso un incontro, che renda magico uno scatto, un’aura che viene dal cuore e dai sentimenti.
“Captare la luce che viene dalla interiorità di tutti”, dice lo stesso Freire,  “per lasciare una traccia luminosa che trasmetta conoscenza è lo scopo della mia ricerca, soprattutto per costruire un futuro che non dimentica il passato”.
Per questo si avverte nelle fotografie del fotografo brasiliano che vive da anni a Parigi, come la sua ricerca spesso assuma valori letterari, quelli espressi attraverso una narrazione dimessa che si sviluppa la di là della posa, anche quando a volte l’immagine che si porge può apparire frutto di una casualità. In effetti si avverte con evidenza come l’immagine non è tanto quella trovata, ma quella  cercata  che l’artista coglie improvvisa e vive alla luce di una profonda emozione.
“La mia formazione come fotografo”, continua Freire, “nasce con i grandi registi italiani, Petri, Rossellini, Visconti, Antonioni, che mi hanno dato una morale e una visione del mondo che profondamente cerco nei miei scatti. La globalizzazione economica dà poco spazio ai valori umani, ovunque troviamo problemi sociali che ci colpiscono e ci turbano; la mia percezione, che proviene dalla letteratura passando per il giornalismo, mi permette di penetrare dentro alle immagini con un grande senso di partecipazione”.
In fondo quello di Freire è un modo di costruire memoria “par coeur”, direbbe Savinio, attraverso le vie del cuore, con uno sguardo che cerca e custodisce le conoscenze come atto d’amore.
Stesso sentimento che si coglie nelle parole di Vincenzo Consolo col quale Freire realizzerà un grande libro sulla Sicilia. “Una Sicilia”, dice Consolo, che desidero conoscere con tempi lenti, con il treno, con le corriere, una Sicilia che lasci tracce nella memoria. Siamo in un’isola di bellezza, dove ancora non è passata la stupidità e l’ignoranza. Freire ha scelto di fare un libro di fotografie sulla mia Sicilia. La Sicilia vera, la Sicilia profonda, la Sicilia nobile che è la Sicilia del movimento, la Sicilia del nostos, del viaggio e del ritorno. Freire cerca la tinta umana, sia nel fotografare i grandi personaggi in posa come nel ritrarre la gente semplice, per cogliere la nobiltà dell’uomo che non ha perso la sua dignità e la sua grandezza”.


Franco Spena

 

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