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GIOVANNI BIANCO - TESTO DI ANDREA GUASTELLA

 


“Per la scelta dei temi, e soprattutto per la loro interpretazione, egli è sempre d’un realismo intenso, che nella resa e nell’espressività della forma perviene talora a una sorta d’istintiva ferocia”. Così León Bonnat sull’arte del Ribera, e così anche noi, cento anni e passa dopo Bonnat, a proposito di Giovanni Blanco, che dall’esempio riberiano ha saputo apprendere quanto occorre a dipingere il vero con disarmante fedeltà. Una spietata crudezza è infatti lo stigma di questo artista siciliano, che del Ribera ha pure il segno saldo e la padronanza nell’uso della luce naturale; a far la differenza, ma solo in superficie, è la scelta dei tempi, perché mentre il Ribera, come asserisce Byron, nutre la tavolozza col sangue dei santi, Blanco si ferma al prima della tortura, all’istante che precede la dissoluzione delle forme – di un movimento, di un gesto, di un equilibrio perfetto – e che evidentemente anticipa la corruzione dei corpi. Ovviamente Ribera non è l’unico nome importante. Tra le opere di Blanco c’è un cane fermato nello spiccare un balzo che ricorda il cagnolino che annega tra le sabbie mobili, schiacciato da un cielo cupo e sordo, di una pittura nera di Goya. E ci sono, a declinare omaggi all’antica pratica della macelleria, pecore, maiali e quarti di buoi con nobili ascendenze in Rembrandt e in Soutine. Infine, per ricordarci che quanto è nascosto sarà presto svelato, un teschio, come se ne trovano anche nell’arte del primo modernismo, da van Gogh a Schiele, da Munch a Dalì. Sì, perché l’equivalenza con pittori del passato non deve intendersi solo come un arcaico gioco, come una caccia all’originalità perduta andandola a cercare il più possibile lontano. Se Giovanni Blanco si mostra nudo in una vasca, facendo assumere al suo corpo pose che riecheggiano i martiri riberiani, lo fa perché, in tempi di realtà virtuale e automatizzazione dei rapporti, la fisicità, la materialità della persona, con i suoi incubi e i suoi riflessi condizionati, è verità da riscoprire. Uno dei motivi dell’anitipopolarità dell’arte moderna, spiegava nel 1925 Ortega y Gasset, è l’averla privata della figura umana e animale. Riproponendole, Giovanni Blanco va oltre il mero allineare citazioni, o la sequela passiva delle tendenze estetiche più progredite di questi stessi anni (basterebbe pensare all’arte “eretica” di Andrés Serrano o di Jenny Saville); si mostra, al contrario, capace di integrare precedenti e modelli in un discorso nuovo, dove la violenza dell’immagine è contrastata da riflessi argentei di impressionante maestria. Augurandoci che la tecnica eccellente di cui Blanco già dispone rimanga al servizio di un umanesimo integrale e non finisca per prendere, sciaguratamente, il sopravvento, salutiamo dunque tra i maestri questo giovane: non più promessa, ma presenza viva e autonoma nella pittura d’oggi.

Andrea Guastella

 

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