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ELISABETTA MONDELLO: RIVISTE DI POESIA ED ANTIGRUPPO

 

Tratto da La “crisi” delle riviste in Storia generale della letteratura italiana a cura di Nino Borsellino e Walter Pedullà, Federico Motta Editore, Vol. XIII, pagg. 97-98


Il fenomeno più vistoso degli anni Settanta è quello della proliferazione delle riviste di poesia che si accompagna a una crescente diffusione della poesia presso un pubblico di massa, per lo meno nelle forme della spettacolarizzazione (letture pubbliche, festival di poesia ecc.). Mentre si andavano via via esaurendo le esperienze delle riviste politiche del decennio precedente (la maggioranza delle testate chiudevano o assumevano una funzione diversa da quella originaria, come avveniva per i “Quaderni Piacentini” e “Ombre rosse”) e gran parte delle riviste letterarie subiva il mutato atteggiamento verso la letteratura (alcuni periodici, per esempio “Paragone”, non mostravano di registrare la crisi; altri, come “Il Verri”, sceglievano la linea critico-teorica sacrificando quasi totalmente la parte testuale), nascevano decine di nuove testate di poesia: “Periodo ipotetico” (1970) di E. Pagliarani (che, a differenza di altre riviste, cercava di coniugare discorso culturale e discorso politico), “Tam Tam” (1972 di A. Spatola e G. Niccolai che, fin dai primi numeri affiancata dalla ricerca saggistica di “Altri Termini” (1972) di F. Cavallo, rilanciava il dibattito e il nuovo corso poetico, “Almanacco dello specchio” (1972) di M. Forti, “Quinta generazione” (1973) di G. Piccari, “Pianura” (1974) di S. Vassalli che proseguiva l’esperienza di un altra testata, “Ant.Ed”.
Una linea specifica era poi rappresentata dai fogli che, in vario modo, si collocavano entro l’esperienza esoeditoriale, che esprimevano, cioè, fin dalle loro modalità di produzione e di stampa una posizione antagonista rispetto all’editoria tradizionale. L’uso del ciclostile veniva teorizzato come liberazione dalla tipica alienazione del poeta all’industria culturale (gli stessi Zanzotto e Roversi avevano prodotto testi ciclostilati o in edizione artigianale) e come tratto di identità politica e di contestazione del nuovo ritorno all’ordine. “Téchne” (1969) di E. Miccini e “Collettivo r” (1970) di L. Rosi, F. Manescalchi e U. Bardi proponevano i primi esempi di questo tipo di foglio, seguiti da “Quasi” (1971) di G. Zagarrio e G. Favati e da “Salvo Imprevisti” (1973) di M. Bettarini. Si tratta di riviste (o antiriviste, come allora amavano definirsi) tutte nate a Firenze, città che rappresentava per diversi anni la punta avanzata del dibattito sulla possibilità di una poesia effettivamente alternativa, che distruggesse i codici comunicativi borghesi (un’ipotesi che era stata già della neoavanguardia, ma che era stata dilapidata) e le forme della tradizione letteraria sclerotizzata, e che recuperasse nella prassi poetica una forma di impegno civile e politico.
Esperienze simili, tese alla riaffermazione di una nozione di impegno in letteratura e frutto di un lavoro di gruppo che veniva sperimentato attivamente anche nel territorio, avvenivano contemporaneamente in Sicilia ove, accanto alla cosiddetta “scuola di Palermo” (con R. Di Marco e G. Testa) più vicina all’opzione neoavanguardistica, operava attivamente l’Antigruppo, il cui nucleo iniziale comprendeva R. Certa, C. Cane, G. Diecidue, N. Scammacca, P. Terminelli ai quali si aggiunse poi S. Calì. Inizialmente l’Antigruppo ebbe il suo organo in “Impegno 70” del 1971 (diventato poi “Impegno 80”); successivamente, nel 1973, da dissensi interni nel gruppo nasceva l’Antigruppo Palermo di Terminelli e Apolloni, che dal 1976 avrebbe assunto il nome di Intergruppo.
L’esperienza esoeditoriale verrà dichiarata consumata già verso la metà del decennio (anche se persisterà una forma marginale di underground selvaggio); riprenderà parzialmente nel 1977 quale supporto creativo-politico al Movimento studentesco e nei primi anni Ottanta come strumento editoriale povero delle tante riviste e rivistine del periodo, riproponendo, con qualche variante, i problemi dell’ uso privato del ciclostile e dei gruppi letterari.
Quello del lavoro di gruppo (e, dunque, della rivista quale prodotto di una esperienza di un soggetto collettivo o, comunque, di più soggetti uniti da una progettualità con elementi comuni) è un altro degli elementi caratteristici e talora centrali in molte testate degli anni Settanta. La nozione, di origine sessantottesca, di collettivo o gruppo di base subisce nelle riviste di poesia una accentuazione nel senso del laboratorio, a volte con connotazioni politiche (soprattutto all’inizio del decennio) che progressivamente si diluiscono per lasciare il campo a una pura officina, essenzialmente di poesia. Esempi cronologicamente e morfologicamente diversi, oltre alle già citate esperienze dell’Antigruppo siciliano, possono essere considerati “Niebo” (1977) di M. De Angelis, “Il Foglio” (1980) della casa editrice Guanda, legato alla Società di Poesia, e il “Bollettino del Laboratorio di poesia” (1981) di E. Pagliarani, prodotto dal Laboratorio di poesia, che nascevano, appunto, da formule e da pratiche diverse di lavoro collettivo.

Elisabetta Mondello

 
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