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FERENC JUHÀSZ

 


SULLA TOMBA DI ATTILA  JÓZSEF

 

Rosa dell’immaginazione, narciso del pensiero, crisan

    temo della fantasia, impalpabile cespo di gigli
bica fiorita dai denti odorosi, dalle mascelle pullulanti
    fermentazioni, stizzose, cieche,
silenzio della struttura liliacea, narciso, rosa del cervello
    profumato, sulla tua minuscola tomba,
sulla tomba bambina, mio Maestro, mio fratello,
    mio padre, mio Avo, mio morto.,
organo generatore Gesù, stallone fragile dell’universo,
    cristallo azzurro dall’ali d’angelo,
rete gemente del sistema nervoso dell’esistere, orfano va
    gante, corifeo dei morti,
pianto dalla fronte vialattea, angoscia nerissima sorella,
    coltello affilato
che trapianta, dal morto una nuova cornea nel globo
    oculare caterattico di dio,
globo oculare del mondo che reciso sempre ricresce come
    quello del crestato tritone,
a cui rinasce nelle orbite  il fungo gelatinoso, frutto
della volontà, fiore di vetro, vivente dalle pupille di
    drago; ecco sulla tua minuscola tomba-bambina
ortica, barba di Cristo, verdi epopee di cespugli spinosi,
    statue di scheletri dorati dall’estate,
un biglietto ciancicato del tram, un’arrugginita scatola
    da conserva, acqua piovana marcita nell’oscurità
ritornanti lacrime di morti; un moccolo di candela
    gamba varicosa
con stoppino spirito santo vermicolare, rigetto rosa della
    candela che lo scorso anno
accesi insieme ad Esrziche, sognando la mia sorte e
    pensando alla tua,

Perché tu giaci qui, dall’altra parte della strada. e qui
    s’è putrefatto il tuo cuore, qui s’è dissolto
Il tuo cervello escito dalla scatola spaccata del tuo cra
    nio leggero,
come mollusco dal guscio alato delle cozze; rovesciato
si è dissolto come sapone brunorosa da barba dalla broc
    ca spezzata,
la tua mente è diventata bianco istinto di bianchi vermi
    o di larve dalle vesti brinate; qui
giacciono le tue ossa tra le pagine nere della terra, an
    gosciosi sgorbi
simili alle prime lettere nel quaderno della mia bam
    bina, tu Primo Scritto, Primissimo Segno,
linea orizzontale e verticale dell’Inizio, Attimo Primo
    della Conoscenza, della Prima
articolazione, grafia infantile sul cuore di Dio, qui giaci
    a due metri
di distanza dai miei piedi nervosi, dall’altra parte della
    strada, sotto stupende rose sognate,
in questa minuscola tomba coperta di muffa bianca:
    calce versata sul giustiziato,
con l’omero uscito dal fiore rosso della carne,
o camicia insanguinata dal Tramonto, fiore infilato nel
    la ruota del Treno, venuzze vermiglie
del titanico occhio del sole calante, in questa minuscola
    tomba dell’erba arsiccia e polverosa
come il volto di vagabondi morti, come tenero viso sba
    vato da lumache di idioti,
cembalo vibrante, arpa, violino, nel dolce, nell’ardente,
    nel cupo frastuono fiammeo
estivo, tra grilli, arcate gotiche di cavallette e insetti
    in amore,
due libellule svolazzanti, duplice fallo diamantino, su
    questa minuscola tomba
coperta di pelo sfilacciato simile a quello di cani inve
    stiti, o ai rigidi baffi di gatti morti dagli occhi
sporgenti; e guardo il rospo crepitante, asciutto, grasso,
    con chiazze smeraldine che
si è nutrito di te, com’io, da ragazzo, del corpo di Dio,

Perché tu giaci qui, dall’altra parte della strada, qui
    in questa minuscola tomba proletaria,
fra questi rifiuti capitalisti di pietra, bronzo, marmo,
    granito, fra questa ripugnante
ricchezza, debordio del paradisoquattrino, tra superbi
    industriali di bronzo,
rincitrulliti padri di marmo, cavalle di Murakoz ma
    rezzate di bianche rose marmoree,
generali imbecilli con elmi di pietra, cacciatori di bron
    zo assorti
con fucili a doppietta, cappelli di bronzo, volti con baffi
smerlati da colombe, picchi, cincie, merli; giaci qui tra
    puttane
riabilitate nel marmo, fanciulle nobili dalle leggere tu
    niche di pietraschiuma
stupide come culi, angeli marmorei dalle ali aperte al
    l’alba,
gesùcristi dai capelli cadenti sul petto, industriali po
    tenti
in  busti di marmo nero, rincretiniti conti di pietra, uf
    ficiali balordi con medaglie, fronzoli
di metallo, sensali obesi e meditabondi in bronzo,
banchieri dalle pance granitiche, zerbinotti sfreccianti
    in paradiso, figli di industriali
mutati in Apolli, sui cui volti
l’acqua piovana dall’orbita vuota
segna nastri di lutto; qui giaci solitario dall’altra
parte della strada, accanto alle benedette-maledette os
    sa di Leda
qui, tra enormi coperchi di granito dagli anelli di bron
  zo, tra
fiumi di tavole gelide, ammassate, fluttuanti, congiunte
    dal diaccio della fioritura
marmorea, tra cuori di pietra trafitti dai sette pugnali
    di Mariavergine, all’ombra
languida delle criniere di cavalli di bronzo intaccato
    dal verde cancro,
stalloni i cui gonfi coglioni non vengono asportati dalle
    granate, qui dove il capitalismo
coperto da erbe secche, inconsistente guano, privo di
    lacrime, privo della morte, detesta la vita per splen
    dere alienato
dal tutto, nella nausea di piccoli seni e di scoperte fichette
di pietrificate vergini; questo cimitero è strato vomitato
    sul mondo
da un diavolo epilettico, Satana dostojevskiano o dalla
    mucca ebbra
di spumante, puttana mammona, macché mucca!, dal
    vomito del suo toro nacque questo cimitero
proprio dove riposano le tue ossa e quelle di Reviczky
    e Babits e Ady e Arany
e Vajda e Mòricz, di Kosztolanyi, di Nagy Lajos; - e
    divenne questo cimitero
calice della terra del tuo cuore, secondo ventre materno,
    per te inesistente
embrione dell’Universo, nostro Avo immortale, Nato e
    Non nato e se scavassi con unghie e denti
qui, se scavassi con gli occhi, non troverei più il tuo
    sorriso di sangue,
né il tuo vellutato canto, né la tua fronte infantile
ma solo ossa, ossa, ossa, ossa, ossa, ossa  gialle
e i putridi brandelli dei tuoi vestiti,...

....

 
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