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MARIA LUISA SPAZIANI: LA POETICA DI GIOVANNI OCCHIPINTI

 

Sembrava molto difficile, secondo il giudizio dei poeti oggi «maturi», quelli che hanno vissuto le polemiche e sofferto le strettoie e i facili allentamenti del dopoguerra, uscire dall’estetica del frammento, superare quella paura della retorica che certe volte si risolve in potature eccessive, nefaste per l’albero.
Eppure la strada è stata trovata, con l’aiuto di spericolati e magnanimi, della tempra di quei navigatori che si buttavano oltre le Colonne d’Ercole senza troppo ausilio di mappe. Sapevano che l’uomo non poteva balbettare a lungo, che la poetica/ascetica del rigore, dell’economia e del silenzio, avrebbe finito per isterilire e disumanizzare il discorso poetico.
Per questo guardiamo con interesse al lavoro di un poeta come Giovanni Occhipinti, alla sua sfida al citato Capo Horn, alle tempeste e mulinelli e creste schiumose fragori di antica epopea che nel suo libro raccoglie, mescolando i segni della crisi dell’uomo moderno alle antiche mitologie.
Occhipinti si trova su quel baricentro che soprattutto m’interessa: quello del ritmo raggiunto, della metafora poetica tradizionale che però di colpo s’impenna, s’inarca, si ritorce su se stessa con ibridazioni di vario genere, tra surrealismo ed espressionismo, e si artiglia da sola con trovate tipografiche che hanno un senso preciso e con ricche invenzioni verbali che, va da sé, sottintendono l’ironia. Salutiamo la sua veemenza, rifiutandoci di definirla “siciliana” e di scendere in un discorso di radici e di umori. Non sarà certo questa l’ultima occasione in cui dovremo occuparci del suo lavoro, né l’ultimo invito che ci giunge a tenere d’occhio il suo discorso in ascesa.


Maria Luisa Spaziani
In La poesia di Giovanni Occhipinti, “Cronorama”, anno VIII, n. 22-23,
giugno-dicembre 1980.

 

 
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