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KOSTAS STERJOPULOS

 

 

UNO AD UNO SEPPELLISCO I MIEI SOGNI


Uno ad uno seppellisco i miei sogni.
Tutto ciò che ho toccato è divenuto cenere,
tutto ciò che ho voluto è svanito in fumo.
Insisto dunque a seppellire i miei sogni
divenuti fumo e cenere.

Un passo avanti e due indietro,
un passo indietro e due avanti:
purché ci si muova.

Ma non ho mai bevuto quando avevo sete
e non mi sono dissetato.
E se talvolta ho smorzato la sete
è stato per avere sete di nuovo.

Due passi avanti e uno indietro,
due passi indietro e uno avanti.

Forse qualcosa verrà di nuovo a scuotermi.
Un dolore nuovo, inatteso,
un terremoto.

 

SUNIO


Mare abitato, terraferma vuota
e le colonne di Poseidone
denudate dal vento,
e il mare, quanta acqua, con le bianche onde
e le isole.

Mi fermai un istante sull’orlo del dirupo,
per immergermi nel cielo, immergermi nel vento,
qua dove arresta i suoi giri il tempo
e placata vaga la mente.

Brezza marina come a toccare il marmo,
frescura che dalle sue viscere ti ristora,
sulle mani, sul corpo, sulla guancia.

Mi fermai un istante e divenne eternità.

Montagne basse, Attica nuda,
nudo promontorio
Sunio.

 

NOTTI ATTICHE DOPO LE SEI


Si sono intristiti giardini e piazze.
Cadono le foglie, cadono i capelli.
Notti attiche dopo le sei.
Non miriamo più il cielo che s’è chiuso,
la pioggia che cade
e il sole irretito fra le nuvole.

Come se tutta la nostra vita fosse di terra
ed eccola sgretolata.

Ci caliamo in sotterranei profondi.
Apriamo atterriti per ciò che troveremo,
unendo la chiave all’affanno in una porta,
ed entriamo in un ripostiglio di cose inutili.

Notti attiche dopo le sei,
fantasmi di case abitate dagli spiriti
nella nostra memoria
-non c’entreremo più, non ne parliamo più-
e quell’antico brivido svaporato
che ci pungeva a volte con la pun-
ta d’un ago.

 

IN BIANCO E NERO

 

Me ne sto fermo nel crocicchio:
ora l’una strada mi prende, ora l’altra.
Né di qua né di là non sono in nessun posto.
Con un cartello di divieto “NON”
come baionetta sempre puntata su di me.

Per quanto tempo giocheremo in bianco e nero,
un piede quaggiù e l’altro su una nuvola,
o come il Colosso di Rodi
con un piede da questa parte
e l’altro sull’altra sponda?
Per quanto tempo giocheremo al Colosso di Rodi?

Increspando le sopracciglia
prendiamo ogni tanto un sapore aspro del mondo.
Non parlo dei colpi duri.
Quelli hanno profonda risonanza
 la loro eco si ripercuote senza posa.

Mi levo sulla punta dei piedi
per scrutare il mare, attendendo
un giorno e quello successivo.
Ciò che mi porterà l’uno
non saranno le promesse dell’altro.

Finchè si sarà esaurito il tempo.

 

IN TANTA PRIVAZIONE

 

In tanta privazione ormai,
mi è impossibile parlare:
con questi nudi scheletri nel gelo dell’inverno,
le acque stagnanti nei campi senza voce.


Uno dopo l’altro e sempre più in fretta aumentano gli anni,
aumentano gli anni come i capelli bianchi alle tempie.
Ti accorano gli alberi quando la nebbia diviene nella piana
grigio mare latteo
e affiorano dal fondo mani di annegati.

Passato il meriggio, scivola il giorno
gradatamente verso la sua meta.
Le prime grinze sotto il mento,
le prime rughe attorno agli occhi:
crepe che non discerni lì per lì.
Non ti rimane che il sole pomeridiano
e il raccoglimento serotino.

Alla fine anche la privazione diviene
felicità ambigua come la solitudine.
Quasi aspettassi qualcosa che non verrà
o se verrà non sarà riconosciuta
e per lungo tempo nulla oserai più attenderti.

(Se fosse possibile che tu venissi, ora stesso,
saresti come il sole pomeridiano nella mia stanza dopo il
gelo invernale,
rinverdirebbero forse i miei tessuti e le cellule,
e io mi lancerei a vele spiegate,
sia pure per questo fuoco artificiale d’un solo istante).

 

DORMO E MI SVEGLIO


Dormo e mi sveglio al rumore di demolizioni:
il mio sonno è crivellato da detonazioni.
I martelli pneumatici, motociclette nel sonno
e mitragliatrici subito dopo il sonno.
I martelli mi conficcano chiodi sulla fronte,
badili prendono e svuotano il cervello.
Dove trovare il tempo perché mi visiti un sogno
e la vecchia Libido, maliziosa ruffiana,
che mi mandava in passato sadicamente
le sue visioni fugaci!

 

SICILIANA

M’ero quasi scordato che c’è il mare.

Vidi il pendio annerito e le case coperte di lava,
i pennacchi di fumo sulla cima del monte
unirsi alle nubi.
E sentii l’Etna in ebollizione.

Gallerie e ponti prima di arrivare qua,
e il verde sui colli più chiaro e più scuro.
Vidi il mare dall’alto a Taormina
e te di fronte a me per così poco.

Di nuovo mi è piombato addosso tanto tempo.

 

da      Lucentezza del Giorno

Salvatore Sciascia Editore

poesie scelte e tradotte a cura di Vincenzo Rotolo

NOTIZIA:

Poeta, scrittore, critico letterario, già professore di letteratura greca moderna all’Università di Ioànnina, Kostas Sterjopulos è nato nel 1926 ad Atene, dove vive. Attualmente è presidente della “ Associazione degli scrittori” (greci) e della  “Associazione ellenica di letteratura” generale e comparata”. Alla sua attività di poeta e di saggista sono stati conferiti diversi premi da parte dello stato e di prestigiosi enti culturali ellenici. Sue poesie sono state tradotte in numerose lingue straniere.
Pubblicazioni: Poesia: I  paesaggi della luna (1955), L’ombra e la luce (1960), L’albeggiare del mito (1963), Il pericolo (1965), I paesaggi del sole (1971), Eclissi (1974), A metà della rotta (1979), Cambiamento di illuminazione (1984), Il sole di mezzanotte (1991), Marea (1998). (Queste raccolte, tranne le ultime due, sono state ripubblicate in due volumi d’insieme nel 1988 e 1992). Prosa: Prime separazioni (1947) , La vita chiusa (1952). Dei suoi numerosissimi saggi critici sono particolarmente importanti quelli dedicati a Tellos Agras (1962) al passaggio dal simbolismo alla nuova poesia (1967), alle influenze sull’opera di Kariotakis (1972), alla tradizione poetica rinnovata ( 1980). (Quattro volumi di Divagazioni, pubblicati dal 1982 al 1996, raccolgono i principali saggi minori).

 
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