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MARCO BONAVIA e CARMELO PIRRERA

 

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Confesso che, dopo aver letto le due versioni del racconto, quella di Marco e quella di Carmelo, è venuta anche a me la tentazione di scriverne una terza. E, certo, non per il gusto dell’azzardo, per un impossibile confronto, quanto perché, anche se non si fosse verificata la bizzarra circostanza di un testo riscritto dopo lo squagliamento dell’originale nella labile memoria di un computer, la trama in sé, nella sua elementare struttura, si presta a una gamma molteplice di varianti. L’avrei intitolato “Lo scacco delle scarpette bianche”, ché di uno scacco si tratta, il primo che il piccolo Mario subisce e, verosimilmente, non ultimo.
Ma che faccia avrà fatto Marco di fronte all’atto di “pirateria informatica” perpetrato dal temerario Carmelo e alla provocatoria proposta di scambiare il suo recit con un altro che non gli apparteneva? Immagino lo spasso di Carmelo, il quale, invece, sembra trovarsi a perfetto agio, oltre che a scrivere di suo, a completare romanzi incompiuti e a maneggiare il racconto di un caro amico qual era Marco.
“Scacchi“ di Pirrera, nato da una situazione paradossale, porta il segno del divertissement, sprizza il tocco leggero e disinvolto di chi se la gode per essere riuscito brillantemente nell’operazione sperimentale che ne mette alla prova la duttilità narrativa, la capacità di utilizzare un accidentale prestito.
Viceversa, nell’impostazione più rigida di “Scarpette bianche” di Bonavia, emerge la relazione biunivoca con l’avvenimento narrato che svela l’atto del narrare se stesso. Marco è concentrato nel personaggio di Mario, assoluto protagonista del racconto; la compagnetta di gioco è priva di identità, non ne conosciamo il nome, è solo “la bambina”. Tutto il resto fa da sfondo alla storia, compresa “la bionda tedesca che dirigeva l’albergo” verso la quale è puntata la curiosità di Pirrera, il quale si compiace di immaginarla fisicamente esuberante, un po’ invadente, loquace e, alla fine, anche un po’ crudele. Così essa finisce col primeggiare nel racconto, il cui protagonista non ha nome e “la bambina” diventa “la ragazza”.
Non escludo che “Scarpette bianche” possa essere una storia autobiografica, sia nel senso che possa riferirsi al vissuto di Marco fanciullo, sia a quello di Marco maestro elementare al quale l’esperienza scolastica ha ispirato altre belle pagine.
Ma questo poco importa ai fini dell’esito dei due ottimi esercizi di scrittura, uno dei quali, quello di Carmelo, ha avuto perfino il crisma del riconoscimento ufficiale con l’attribuzione di un premio.
Se potessimo, dovremmo oggi premiare alla memoria  Marco, per lo straordinario personaggio che è stato, intellettuale militante acuto, dai vari interessi, controcorrente, capace di contagiare il suo entusiasmo a chi gli stava vicino e di affrontare con eleganza e ironia le situazioni più difficili e conflittuali.


                                                           Sergio Mangiavillano

 
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