La distrazione della bellezza Culla di mare dondola il cesto africano, catenelle di paglia sui capelli. Copre la grazia dei polsi una tovaglia che nessuno compra. Solitario, più fantastico per il controsole il corpo clandestino, passi ridotti da un telo. Sollevano ai bordi del mare ventagli di rena le infradito: scontornati pensieri di una sabbia più fine, di un deserto splendente mentre racconta dei figli lontani, miracolosi sorrisi. Solo il mare è al suo posto. Tempo variabile
È così una giornata di buio:
all’inizio niente di precisato, poi la tristezza arriva dai tigli, pieni a maggio di ciondoli bianchi; si svelano i ventagli nascosti, dettano in strada profumi orientali. E io «un povero cane randagio›› con l’auto passo lontano da loro, con vecchi vestiti, come si dice stonata, del tutto fuori stagione. È così una giornata di luce:
dietro un arco sul viale all’aperto si apriva una tonda sala da ballo in penombra: “il giardino dei tigli”. I musicisti facevano prove di canzoni, mentre con i sandali ballavo da sola, come si dice intonata, nella giusta stagione. Arrivavano poi i militari, e le ragazze ai tavoli gratis. I dolci polsi delle rose a C. Wright
Libri cari che durante la lettura diventano quaderni per appunti, tentativi di pensieri, risposte a matita sui primi fogli bianchi e, ai bordi della stampa, disegni di cornice. Un dito si ferisce sul taglio delle pagine: una goccia per essere fratelli di scrittura. Quando si spaginano libri, nascono ventagli, lettere in catena aprono parole, lasciando sfuggire code di cometa: sotto lo strato esterno nascono rose. Visioni d’imperfetto Nascoste dietro l’Adriatica, corpi di periferia, le case aperte al freddo, spogliate. Possibile per loro uno spiraglio dalla collina di fronte. Tristissime finestre dentro stanze invernali ricucite con plastiche nere da chi le visita di notte; qualcuno ha accomodato la sua fede su tappeti di carta, gli occhi a un soffitto vuoto. Da questa posizione di collina guardiamo divinamente lontani l’anello della statale, segreti senza vergogna esposti, e un gomito di porto con gli alberi nudi delle barche. Metamorfosi (l’amore imperfetto)
L’amore fa cambiamenti nel tempo, si riconosce per un unico odore leggero nella polvere di talco.
Fra un dito e l’altro dei piedi asciuga le pieghe del neonato, rispettoso sulla schiena sbiancata dei vecchi. Stessa cura, chiarore che sfarina nel nulla: noi due senza parlare per il vento dei vicoli sul porto. L’odore arriva a tratti, impreziosisce ogni gesto: prima di separarci riesco a stringere la tua mano fredda. Anniversario dimenticato (ricordo imperfetto)
A quattro piedi sulle foglie d’autunno illuminati Tu avanti, io dietro calpestiamo le stesse foglie in ripetute nostre passeggiate. Dietro il velo rotto dei ragni novembre lavora sotterraneo custode della vita futura, letto per tutti i fruscii, che appartengono ai morti: anche per loro il mare è viola. Vorrei che fossi tu a custodirmi viso e mani se non saprò più farlo: anche quando non lo ricordi a novembre torniamo ogni anno custodi consacrati l’uno dell’altro. È stato il segreto condiviso di due vite, quello che già basta per dare senso al nostro camminare.
La leggerezza dei vecchi (inattesa perfezione) Si chiarisce nei vecchi l’idea notte dietro notte che le cose si perdono insieme con il peso delle ossa: in costante lentezza tutto traspare, si sveste, svuotate le case, i cassetti. Agli oggetti vanno via i contorni, nella valigia le carte trascorse tutte si riscrivono lievi, qualche pensiero sa di morire.
Versando acqua sui bulbi comprati con troppa leggerezza viene da dire soldi spesi male (le foglie strette intorno al nulla), regalo mancato per il davanzale. Ma di ritorno dal viaggio distraente dei sogni la mattina nel dormiveglia il profumo del bianco avvento dei giacinti a divagare l’odore solito dell’orzo. Qualcosa ha cambiato direzione.
In ascolto «…sul più esile filo d’erba vivo più non c’era, non c’era un insetto che regnasse.›› (Edmond Jabès, Canzone triste)
Se gli insetti che si muovono sotto i miei piedi avessero l’idea di raccontare adesso il loro continuo sfuggire alla morte in un giorno normale, potessero avere un filo di voce. Ovunque parole insonore: ci sono momenti in cui non tocco l’erba e non strappo una radice perché sento i loro sospiri. Si aggiungono a quelli di ieri, dentro la terra non vanno perduti. A strati leggeri il dolore fa voce. Il settimo giorno
Il settimo giorno non ha mattino, né sera dopo i giorni di creazione. Necessario per trovare una strada, quella ancora prima dell’infanzia, prima d’ogni paura: è un ritorno.
E per quale sgranatura del tempo riconosceremo luoghi dove passano con splendore intransitivo le cose che accadono piccole ogni giorno? Questa era capacità dei poeti. Radici in aria e sotto terra i vivi mondo a rovescio Violata chiesa anima della città caduta in pezzi
Rami potati intimità perduta nella piazzetta
Povera strada sull’asfalto cucite toppe più scure La foglia gialla sotto il tergicristallo multa d’autunno
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