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GIACOMO FAILLA, di FRANCO SPENA

 

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GIACOMO FAILLA E IL COLORE DELLA VOCE


Che i colori intrattengano un rapporto sottile con la musica, Kandisky ce ne aveva dato ampia lezione nella sua opera “Lo spirituale nell’arte”, nella quale si sofferma sui valori, i significati degli accostamenti cromatici collegandoli con le emozioni, gli stati d’animo e con quelle sfumature attraverso le quali si esprime il mondo interiore. Ne parliamo poiché sembra richiamarsi a questi valori, con una identità tutta personale, la mostra “Di luce Di colore” di Giacomo Failla in questi giorni a Catania nelle sale di Palazzo Platamone in via Vittorio Emanuele. Una mostra nella quale è proprio il colore il protagonista dell’opera, un colore che, alla luce di una esperienza che trova le sue matrici nell’informale, sembra muoversi sulla superficie con ritmi che quasi rimandano a un verseggiare poetico che si appropria dello spazio con cadenze, analogie e rime. Poiché è spesso un tema, pur nell’informe impostazione della composizione, a fraseggiare sulla tela, un succedersi di cromie o di segni che vengono a formare delle pagine con una pulizia formale che spiazza e che potrebbero procedere all’infinito al di là dello spazio pittotico. Una tela che si offre al colore senza preparazione, lasciando il pigmento che si poggia su di lei con tutta la sua purezza, quasi una voce che modula, alterna, sovrappone i suoi toni  alla luce di uno spartito spirituale che ne anima i timbri e li  fa vibrare, producendo quasi forme nell’aria, su un ipotetico spartito. Dice Francesco Gallo, che è anche il curatore della mostra, in catalogo: “Giacomo Failla sguazza letteralmente nel colore, in un gioioso movimento verticale e orizzontale, trasversale, circolare, che gli consente di creare delle fitte tessiture tematiche, individuabili di volta in volta in una dilatazione del segno dominante…”. Un segno, aggiungiamo che nella ricerca di Failla assume una connotazione ben precisa che nasce da un progetto cromatico e ritmico con riferimenti precisi alla voce e alla musica. Sono indicativi titoli come “Butterfly”, “Eco nel vento”, “Frequenza”, “The voice”, nelle quali si fa evidente il rapporto ritmo-colore che si apre spesso a degli ampi  concertati che mettono anche in evidenza un caldo rapporto con la luce che dilaga e si accende di toni mediterranei. “L’incanto correva / in tutte le direzioni, / adesso era giallo, / poi arancio, / e ancora / un accenno / di quasi violetto”. Dice l’artista in una sua poesia che attraverso il colore apre le porte alla sua poetica, anche quando è proprio tutto il suo mondo interiore che sembra prendere voce e suono come se facesse poesia coi colori o pittura con le parole, divenendo nello stesso tempo astrazione e memoria. Infatti in un’altra lirica aggiunge: “I suoni astratti / mi catturano, / con segni leggeri / nella mente, / pronto lì a comunicare / presenze di ricordi /  che si schiudono / nelle nostre memorie, / impregnate /  di lontani vissuti, / come armonie / di fragili violini”.Tutto questo in una pittura “en plat” come direbbe Rosemberg, nella quale non è solo il cuore a farsi spazio sulla superficie,  ma è tutto il corpo, con la sua fisicità che, attraverso la mano, crea gli alti e i bassi, la pressione e la leggerezza, il colore e la forma, l’astrazione e la vaghezza, divenendo parte della tela che diviene spazio di espressione totale.

                                                                                                       

FRANCO SPENA

 

 
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