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FRANCESCO CARBONE, di GIOVANNA CAVARRETTA

 

 

In occasione del decimo anniversario della scomparsa dell’intellettuale Francesco Carbone, la galleria d’arte Studio 71 ha organizzato una mostra in sua memoria, dal titolo “Strettamente personale”, curata da Francesco M. Scorsone, in cui critici ed artisti gli hanno reso omaggio attraverso le proprie opere o con un semplice pensiero: lo scrittore Ignazio Apolloni ricorda Francesco “seduto sul divano di casa mia, a conversare amabilmente con Vira, entrambi a sognare un mondo intriso di arte”; Mirella Bentivoglio lo evoca con due E “strettamente congiunte”, simboleggianti proprio “la congiunzione delle qualità del critico “e” dell’artista”. Molto si è scritto su Francesco Carbone, come critico o come socio-antropologo, si è più volte dissertato su Godranopoli, il centro di arte visiva, documentazione e sperimentazione, fondato nella nativa Godrano insieme all’amico devoto Giusto Sucato. La prima volta che lo incontrai, capii  immediatamente che era una persona speciale. In quel periodo mi accingevo ad entrare  nel mondo dell’arte, infatti furono il mio entusiasmo e il mio desiderio di conoscenza a condurmi da lui. Quando bussai alla sua porta ero intimorita al pensiero di incontrare una mente eccelsa, tremavo all’idea di dovermi confrontare con la sua tanto decantata autorevolezza intellettiva. Quando mi aprì rimasi estremamente colpita: la bassa statura rifletteva la sua umiltà; mi accolse con dolcezza e curiosità e in quel momento intuii  l’essenza spirituale e la profonda sensibilità attraverso le quali coglieva ciò che l’uomo comune non coglie. Da subito parlammo di arte, intesa come manifestazione di eventi creativi che conferiscono alla vita un significato straordinariamente nobilitante. Di questa definizione lui aveva fatto il fulcro della sua esistenza. L’originalità che egli riusciva a individuare nelle opere degli artisti, la percepiva grazie al suo occhio critico, frutto di una sapienza intellettuale mischiata ad un intuito prepotente, sorretto da una capacità di sintesi colta e raffinata. Spesso è stato considerato “il critico che scriveva per tutti” ma, con buona pace dei molti detrattori e degli altrettanti sostenitori, a lui non importava: la passione totalizzante che nutriva per l’arte non poteva essere contaminata da nessun commento avverso; comunque andassero le sue attività culturali e i suoi progetti artistici, l’autoironia lo ha sempre accompagnato, aiutandolo nei momenti bui, rendendolo divertente in quelli ludici. L’unico suo debole era la bellezza: riusciva a vederla anche nella gente che incontrava per strada, gli piaceva dialogare tanto con gli eruditi quanto con gli incolti. Il suo Spirito era dominato da un’immensa sete di conoscenza per l’animo umano, qualsiasi persona per lui rappresentava una fonte dalla quale attingere frammenti di vita vissuta, e come un alchimista trasformava ogni gesto ricevuto, ogni impulso emotivo nel “fare dell’arte”. Si é consacrato alla cultura e agli altri e poco a sé stesso, “eppure questo”, diceva,” è un pregio, un estimabile valore, perché una grande verità è quella di considerare che noi siamo fatti degli altri. Gli altri non sono soltanto vicini a noi, ma dentro di noi”. Questo stralcio è estrapolato da una lettera che Francesco scrisse a sé stesso in occasione di una festa voluta da Antonio Presti a Fiumara d’Arte nel lontano 1998. Il fine di quell’avvenimento era di celebrare il suo spessore intellettuale e umano, il cui confine resta imprecisato, ma sempre conforme all’esigenza del fare e del pensare. Cosa potrei dire ancora di Francesco? Spesso lo chiamavo Maestro, un appellativo che lo imbarazzava molto: sosteneva di non avere nulla da insegnare ma io sapevo che non era così; mi ha insegnato a sentirmi libera nell’arte come nella vita, pur pagandone il prezzo, perche non tutti comprendono che quando l’arte ti entra dentro non puoi più farne a meno. Ciccino mi ha fatto capire quanto arte e vita siano “strettamente indivisibili”.

 

GIOVANNA CAVARRETTA

 
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