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VITTORIO BALCONE, di GIOMBATTISTA CORALLO

 

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Téchné Poesia e mestiere nell’opera di Vittorio Balcone


Téchné, è il termine più appropriato per inquadrare la figura e l’opera di Vittorio Balcone. Il suo significato va cercato nelle pagine di un dizionario di greco antico che indica con questo vocabolo, in primo luogo, la creatività, in particolare,  la definizione di “Arte”, e  non solo la fantasia nella ricerca della forma ma tutto il processo del fare artistico e, quindi, anche l’aspetto tecnico, l’abilità, il mestiere, la conoscenza dei materiali e tutto quanto riguarda la produzione di un manufatto che noi chiamiamo “opera d’arte”. Così scrive Attilio Marcolli in L’Immagine-Azione Comunicazione: “Gli antichi greci usavano la parola Téchné, che voleva dire «arte» e nel contempo «tecnica» …in cui la parola «tecnica» non va intesa come la intendiamo oggi (specializzazione esecutiva), perché all’origine essa era ciò che nell’arte da sempre invera la conoscenza, principio-guida dell’attività artistica in quanto attività creativa.”
Ed è proprio così. Balcone interpreta, anzi incarna in pieno la figura dell’artista come era inteso nella concezione dell’antica cultura figurativa greca, dotato di una straordinaria inventiva, e, nello stesso tempo, capace di realizzare un’idea con un paziente lavoro che mette in luce la sua eccezionale manualità nel trattare la materia: la pietra, il marmo, il legno, dei quali conosce ogni segreto e poi l’argilla che riesce a modellare come preparazione all’oggetto finale ottenuto con  metallo fuso, vecchio di tradizione, che nei secoli ha consentito la creazione di opere che hanno fatto la storia dell’arte plastica, il bronzo. L’uso dei mezzi, propri dell’attività dello scultore, lo scalpello e il mazzuolo che egli adopera con vera maestria, lo pongono su un piano di eccellenza rispetto a quanti oggi operano nel campo della scultura nel quale la conoscenza di moderni e sofisticati strumenti e materiali porta inevitabilmente a risultati molto diversi anche se di eguale valore e importanza.
Un artista di altri tempi? Forse, ma solo per quanto concerne l’aspetto strettamente legato alla lavorazione che ci riporta alle figure di scalpellini che nei tempi passati hanno nobilitato questo mestiere ma il “Nostro” non è un artigiano qualsiasi, è, invece, un grande artista che si muove con autorevolezza nell’ambito degli sviluppi della scultura del XX e dell’inizio di questo secolo. Dire, quindi, semplicemente che Balcone conosce bene il “mestiere” non lo limita sul piano strettamente connesso all’aspetto creativo anzi questo è un valore aggiunto che rafforza notevolmente la sua personalità e il suo essere artista.
Le sue forme plastiche dalle superfici levigate ed estremamente lucide come se fossero state originate dallo scorrere delicatamente dall’acqua, nelle vibrazioni di luce, si allontanano dalla realtà naturale e, nel loro sviluppo, tolgono peso alla materia e conferiscono all’opera una particolare leggerezza. Tutto questo non sarebbe possibile se l’artista non avesse una concreta, perfetta conoscenza dei materiali e una straordinaria pratica acquisita in un cinquantennio e oltre di attività che gli permettono, infatti, di piegare, di rendere elastica una materia, specialmente il marmo che, per sua natura, elastica non è.
Sembra, infatti, che lui e la sua attività siano nati insieme perchè da sempre “collaborano” e continuamente interagiscono. E non è un modo di dire ma Vittorio Balcone entrò veramente da piccolo in contatto diretto con la scultura lavorando nelle cave di pietra calcarea a Comiso, sua città natale, un’esperienza preziosa con un materiale che ha dato, nel tempo, la possibilità agli artisti, non solo locali, di realizzare opere che hanno contribuito alla significativa comunicazione attraverso l’arte in un territorio che da sempre ha prodotto personalità di altissimo livello e oggetti di grande interesse figurativo.
Poi gli studi artistici, sempre nella sua città, e l’acquisizione di quella cultura che gli permette l’ampliamento e l’affinamento delle sue già cospicue conoscenze e il conseguente inserimento,prima nel campo dell’insegnamento negli istituti ad indirizzo artistico e, contemporaneamente, fino ad oggi, l’attiva partecipazione alle esperienze più importanti delle arti plastiche in cui si è distinto e all’interno delle quali occupa un posto di assoluto rilievo nel vasto panorama della figuratività internazionale.
Ed è da Comiso che ha inizio quella straordinaria esperienza che lo porta ad operare nel campo dell’arte, un’avventura che ancora continua con successo che lo ha visto percorrere le strade di molte città d’Europa e dell’America latina e, nello stesso tempo, mantenere lo stretto legame con il proprio ambiente d’origine così carico di stimoli e la sua partecipazione, già dai lontani anni Sessanta del secolo scorso, ad un percorso di ricerca  che lo vede impegnato con il “Collettivo BAI” (Bottega d’Arte Ippari, nome dato al gruppo dall’estetologo e teorico dell’arte Eugenio Giannì), un sodalizio che vede il Gruppo ancora unito con le diverse personalità, ognuna nella propria autonomia, in attività espositive di enorme interesse in diverse località italiane con risultati di eccezionale importanza.
La sua profonda conoscenza di quanto successo nel campo della scultura nel corso del Novecento lo avvicina spontaneamente a qualche indirizzo dei tanti che si sono sviluppati nel corso del secolo scorso che l’artista  riesce a vivere e a tradurre con autorità in termini propri termini con risultati che lo collocano in una posizione di assoluto rilievo nel vasto panorama della figuratività internazionale. Le forme astratte, nelle loro “geometrie” emanano ricchi stati d’animo e raffinati sentimenti che vanno di molto oltre l’arida struttura propria dell’opera che nella sua sintesi formale facilmente potrebbe prendere il sopravvento. Ed è questa la strada che il “Nostro” intraprende con sicurezza, senza la minima esitazione, sicuro che solo in questa direzione la sua ricerca può consentirgli di esprimersi con il linguaggio che gli è proprio, chiaro ed efficace, capace di immense possibilità di comunicazione di contenuti, significanti di espliciti e forti significati esistenziali.
Così, procede verso la progettazione di una forma dinamica che si sviluppa nello spazio che la ospita senza soluzione di continuità. Una forma aperta, in divenire, apparentemente inarrestabile, che potrebbe continuare a svolgersi all’infinito se l’artista non riuscisse, come fa, a bloccarne il movimento dimostrando una straordinaria capacità di dominarla e, di conseguenza, di gestire agevolmente lo spazio che la ospita. Una spazialità che si identifica con la forma stessa e che con essa interagisce superando il vecchio principio di figura e sfondo in linea con le nuove istanze proposte dalla moderna psicologia della forma.
Nella sua opera tutto avviene naturalmente, senza dramma alcuno; un assoluto senso di serenità, una libertà controllata che l’artista riesce a determinare senza farsi prendere la mano da risultati facilmente raggiungibili, senza mai perdere di vista l’obiettivo primario, cioè l’eccezionale senso di equilibrio che contraddistingue tutta la sua opera (Simbiosi, 2000; Dinamica danzante, 2003; Equilibrio e danza, 2004; Percorso di una rossa, 2006; Libero pensiero, 2006).
Equilibrio e non simmetria, quindi, il raggiungimento di un’armonia apparentemente facile da realizzare, che ad uno sguardo superficiale potrebbe dare l’impressione di un’assoluta banalità, rivela, invece, un’aderenza ad aspetti della natura che l’artista supera poeticamente conseguendo risultati che possono essere definiti di grande spiritualità. Una dimensione, questa, che solo un vero artista con una spiccata personalità può raggiungere e, ancora più difficile, mantenere.
Le superfici delicate sembrano essere state create non dalla sua mano ma modellate da un soffio leggero di vento che penetra nella materia nella quale provoca spacchi, non traumi dolorosi ma morbidi esiti dalla naturale e lieta conclusione.

                                                                                 Giombattista Corallo

 

 

 

 

 
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