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ROBERTO PEROTTI, di FRANCO SPENA

 

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LE CUPOLE DI ROBERTO PEROTTI


Non di rado materia e colore procedono insieme per dare forma un processo compositivo che proprio da questo rapporto origina e si realizza. Che questa pratica appartenga per sua costituzione alla pittura che fa del corpo del colore il suo maggior carattere, è immagine della storia che ne offre esempi importanti dalla tradizione, all’informale ed oltre. Facciamo queste riflessioni proprio perché fra materia e colore è sospesa la ricerca di Roberto Perotti - che espone al Museo Archeologico di Agrigento fino al 27 giugno – che fa proprio del rapporto fra questi due elementi il carattere portante della composizione che si sviluppa con impeto gestuale. E lo fa con una pittura di getto, senza ripensamenti, con una leggerezza e pulizia del gesto che a volte procede per trasparenze limpide e misurate, a volte assume anche valori plastici addensando e raggrumando gli smalti ottenendo impasti cromatici intensi e materici. Alla luce di una “pittura”, come dice in catalogo Alessandra Lancellotti, “che torna ad essere ‘pictura’ segno e simbolo di sapienza formale , cromatica, prospettica: dove la danza di ritmi e colori si sposa al desiderio di un nuovo patto culturale fra natura, cultura ed arte”.
In questo clima si sviluppano, in una spesso dichiarata relazione tra orizzontale e verticale, le quasi perturbanti apparenze di una città sognata, impalpabile, esplosa non per una dissoluzione della forma, ma per una rielaborazione di una riunione armonica tra struttura e colore, per un susseguirsi di inafferrabili architetture cromatiche come pagine informi, astratti profili, evanescenti visioni. E tra queste distese di mare e di cielo si erge leggera, come arco sospeso, quasi sempre la forma simbolica della cupola, immagine del cielo essa stessa, elemento legante, caratterizzante della maniera poetica di Roberto Perotti. “Spuntano” infatti “dal deserto come dal mare le cupole di Perotti”, dice ancora Alessandra Lancellotti, “o sono tese in un universo atemporale che le rende classiche ed astratte insieme”. Per costruire, aggiungiamo, immagini di città più sognate che rappresentate, quasi spirituali, incorruttibili perché inafferrabili, sintetiche, quasi purificate, impraticabili perché non appartengono alla realtà ma a un paesaggio interiore che si traduce in un esercizio di purezza che è proprio di uno sguardo, di un modo di vedere e di sentire il mondo e le cose che trasforma ciò che ci circonda in delicata e appagante poesia.

                                                                                            

                                                                                    FRANCO SPENA     

 

 

 
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