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MARIO LA CAVA: LA SPOSA BATTUTA

 

 

LA SPOSA BATTUTA


Carmela aveva quindici anni: era figlia unica di contadini, in mezzo a tanti maschi: era stata cresciuta con vezzi insoliti tra la gente povera: il padre ritornando dal paese, le portava i confetti, la madre il pettine di madreperla, aveva vesti colorate di lusso, superiori alle sue condizioni, portava sempre, davanti agli estranei, le scarpe; ogni tanto se le levava per camminare più comoda.
Ella era già alta e sviluppata; il viso era piacente: era bionda con gli occhi vivaci, la carnagione fresca, piuttosto grassoccia: pareva una ragazza ormai da marito: solo l’espressione di fuoco che traspare dalla carne e che è data dalla forza del senso, non v’era; come se questa sonnecchiasse per il momento, per svegliarsi poi di colpo, una volta sposata, o come se per natura non fosse stato bene formato.
Tuttavia ella godeva a stare coi giovani della sua età; si divertiva a chiacchierare, a fare scommesse, a ridere; li guardava anche, come per attirarli; e non aveva neppure nessuna di quelle riservatezze solite tra le ragazze; era come un maschio in mezzo a loro, e nello stesso tempo civettava: di modo che non passò molto tempo che un giovane, che ancora doveva andare soldato, le offrì di fare all’amore ed ella disse di sì, senza pensarci di più.
 Già più di una volta aveva raccontato menzogne per andare a trovarlo, quando la nuova si seppe, tra la campagna, dell’amoreggiamento; ci fu un padre di famiglia onesto che avvertì il padre di Carmela; il quale del resto se ne era accorto da se: lo disse alla moglie e, insieme, rimproverarono forte, una sera, la figlia che negò; ed allora la madre, arrabbiata, la tirò per i capelli per bene; e Carmela pianse e, per puntiglio, non volle mangiare.
Allora i genitori si misero in testa che la ragazza ormai era bene sviluppata e che , quindi, aveva bisogno di marito: meglio procurarglielo subito, se non si voleva che facesse qualche sciocchezza; tanto, la dote, o prima o poi gliel’ avrebbero dovuta dare lo stesso; ed essi l’avevano preparata per tempo.
Scartarono subito il giovane col quale ella aveva incominciato ad amoreggiare, perché ancora troppo piccolo d’età, e povero, ed anche vagabondo; e fissarono la mente sopra un altro, certo Stefano, che passava per uomo lavoratore e voleva sposare.
In  breve le due parentele fecero gli approcci, gli amici si misero in mezzo, e Stefano accondiscese a promettersi a Carmela: ella l’accettò subito: tanto che è da pensarsi che davvero fosse indifferente verso l’altro giovane che per primo di nascosto l’aveva chiesta, e che la ragazza solo per spensieratezza fosse andata qualche volta con lui.
Questo Stefano era un uomo robusto, uno di quelli ai quali il lavoro non pesa molto, e perciò lavorano: sono chiamati da tutti e passano per onesti, finchè non si scopre bene il loro animo; ma era veramente violento di carattere e ottuso di mente.
Aveva una relazione con una donna perduta che tutti dicevano brutta di faccia; ma non lo era di corpo; e benché tutti dicessero di non desiderarla, pure è certo che si turbavano al solo vederla.
Anche il padre di Carmela credeva che quella donna fosse brutta e che non potesse mai essere un pericolo per la figliola: Stefano lo rassicurava; ma chi, veramente, avrebbe immaginato che una ragazza giovane ed in fiore avrebbe potuto essere lasciata per un’altra, ormai anziana e di tutti?
E così non si preoccupava troppo che Stefano venisse di rado a casa e che, qualche volta che era andato in giro a trovarlo lo avesse visto con quella: pensava che ancora era scapolo e che era giusto, avendo il comodo, che si divertisse; nè teneva in conto il fatto che i fidanzati tra loro nemmeno si parlassero, quando si incontravano, come se l’uomo fosse completamente indifferente alla futura sposa, e che Carmela, una volta così gaia ed espansiva coi giovani, fosse ormai divenuta preoccupata e quasi intimorita dell’uomo: tanto che il padre e la madre riferivano la cosa al rimorso della ragazza per avere incominciato la vita con un passo falso, quando si era messa a scherzare con l’altro giovane, ed al dispiacere di essere stata, dopo, per questo, rimproverata da loro.
Se poi la vedevano di nuovo gaia e scherzosa cogli altri giovani della sua età, vieppiù essi si preoccupavano del suo avvenire: e dicevano che il vizio non l’aveva per nulla perduto; e scambiavano l’innocenza, appena tinta di malizia di lei, con la colpa più grave.
Concludevano, allora, che fosse giusto e conveniente che sposasse presto e che, quand’anche Stefano non avesse dimostrato molta affezione – tuttavia fosse la cosa migliore che si potesse fare,  in quelle circostanze, unirla con lui.
Di modo che affrettarono il matrimonio dopo appena sei mesi che i giovani si erano fidanzati; e la ragazza, andata all’altare, non aveva nemmeno sedici anni.
Ci fu pranzo con vini e liquori, ci furono dolci, e quello che più conta, intervennero perfino signori a rendere omaggio; la festa fu proprio bella: il prete tenne il discorso, una bambina che andava a scuole recitò una poesia , altre ragazze, compagne di Carmela, confuse dalla precoce fortuna di lei, le buttarono fiori e grano, per augurio.
L’inizio sembrava dunque lieto: anche il fidanzato, per quanto zotico, faceva bella figura nell’abito nuovo, col fiore all’occhiello e il lapis nel taschino; ed un paio di scarpe scollate, nuove, lucide, e senza chiodi, che parevano quelle dei signori.
Tutto si prevedeva fausto, quando la sposa entrò nella nuova casa; e fu lasciata sola, a poco a poco, dagli amici e dai parenti: sola con lui.
L’uomo le si avvicinò e le disse di spogliarsi: ella fece resistenza: si vergognava. Ma Stefano fece poche cerimonie: la svestì di forza, la buttò sul letto, Carmela piangeva. “ Me ne voglio ritornare a casa mia “diceva.
Si alzarono l’indomani gli sposi, ed erano stanchi: Stefano era seccato: rimpiangeva la notte perduta con una ragazza inesperta e che aveva paura di lui.
Né i giorni e le notti seguenti ella seppe attirarlo a sè per sempre: anche ora che Carmela incominciava a svegliarsi alla vita del senso, non riusciva a vincere il suo turbamento: resisteva all’uomo e lo irritava: e poi, quando cedeva alle voglie di lui, non lo soddisfaceva.
Stefano, per questo, rimpianse la compagnia dell’amante: ella era offesa e non lo voleva ricevere; ma egli le giurò fedeltà, la pregò, dimostrò che le conveniva: ed ottenne quello che la donna per prima bramava:
Andava da lei, dopo finito il lavoro, e vi restava; ed a notte tarda ritornava a casa sua, dalla sposa; era stanco dell’amore  con quella e si irritava di tutto: “ La cesta perché l’hai messa in mezzo ai piedi? E questo orzo per terra cosa significa?... Ma tu credi che io abbia denari per mantenerti? “.
Tuttavia voleva provare a fare all’amore con Carmela e l’afferrava di forza: credeva che una ragazza ancora fresca dovesse, o prima o poi, dare qualche piacere raro, e da lui sconosciuto: ogni volta vi si illudeva, e tentava; ma quella, avvilita dall’impeto di lui, stanca dall’attesa, preoccupata dell’avvenire, ed ancora bisognosa della giuda del padre e della madre, non lo soddisfaceva.
“ Così sono le ragazze oneste? Ah!... così sono? E quando impari  come si fa, quando impari? “.
La prendeva a schiaffi, dopo averla posseduta, e le tirava calci col piede, nel letto, per allontanarla da sé. “ Perchè m’hai presa? Perché non mi lasci ritornare a casa? “.
Finchè una notte – fuori pioveva ed il tuono di tanto in tanto rumoreggiava lontano – Stefano
ritornò dalla casa dell’amante; bussò, e Carmela forse non fu sollecita ad aprirgli: così egli poi la rimproverava; ed ella ribattè: “ Perché non sei rimasto con la tua mantenuta? Quella fa per te…”.
“ Sì, quella fa per me e non tu!  “rispose Stefano: la prese per i capelli e la sbattè a terra; le tirò un calcio cogli scarponi; le sputò di sopra, per spregio. E siccome quella gridava, invocando aiuto, nell’ira, l’afferrò dai fianchi, aprì la porta che spense, col vento, la luce, e la mandò di volo in mezzo alla strada, nel fango.
Ma ella, impaurita a quell’ora di trovarsi sola nel buio, rotto solo a tratti dal bagliore del lampo, bagnata dalla pioggia, rabbrividente di freddo, non aveva la forza di prendere la strada della campagna e ritornare dal padre; e bussava alla porta della casa del marito, gridando: “ Aprimi che domani me ne andrò! Aprimi che farò ciò che tu vuoi! Perché sto qui per morire! Ah! Disgraziata che sono, ah! “. E rimaneva ad attendere.

                                                                                                            Mario La Cava

 

 
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