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GIOVANNI OCHIPINTI: NEL LUOGO DELLE TAVOLE

 

 


Ad Antonio Maria de Rubeis piacevano le donnine o le signorine con le gambe da Bluebell che reclutava nei bistrot nei momenti di pausa dal lavoro o quando l’ozio forzato diventava desiderio carnale. Era affascinato dal loro portamento, tipico delle donne esigenti; e poi esose, più delle fanciulle greche del porneion che andavano con chiunque offrisse loro poche dramme, e talvolta soltanto per piacere.
Amava le signorine discinte nella notte e il gioco d’azzardo, insomma amava i luoghi senz’anima, opachi di fumo e di vizio, frastornanti per la baldoria e le liti degli avventori, ma dall’ambiguo e profondo respiro poetico, per quel tanto che di trasgressivo possa esserci nella poesia:
Voglio vivere la vertigine della poesia della vita farfugliò, ubriaco a Fernande mentre la spingeva in uno di quei posti di baldoria e di vizio. Lo inebriavano il rischio e la vita vissuti ai limiti estremi; la schermaglia degli sguardi densi di emozione o velati di riserva o duri e freddi di cinismo e di indifferenza; lo inebriavano gli sguardi feriti dalle aggressioni della vita o che della vita esprimevano talora la crudeltà; lo inebriava la complicità degli sguardi. Insomma, egli era per la dialettica ammiccante dello sguardo in tutta la sua ricchezza semantica.

 

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