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CARMELO PIRRERA, ZANZARA DELLE QUATTRO

 

13.

Un gilè - Mio padre a un certo punto della sua vita decise di non festeggiare più i suoi compleanni. Questo lo aiutò a restare relativamente giovane, sicché quando fummo quasi coetanei non mi andò più di obbedire ai suoi ordini o soggiacere al suo dispotismo.
 – Senti, Gustavo, - gli dissi, (non più papà, ma semplicemente Gustavo) – da oggi hai finito di rompere le scatole, vedi di trovarti un lavoro, qualcosa da fare, ché l’ozio è padre dei vizi. Alla sua morte ereditai un gilè a piccoli fiori col quale, da giovane, usava pavoneggiarsi. Non ho mai avuto coraggio di indossarlo.


14.

Concerto per l’Africa - Luglio. Alla televisione un tale dai capelli corti, color polenta, e tutto vestito di nero come i preti d’una volta, miagola al microfono un’insignificante sequela di quinari, interviene una donna nera, grassa, con un vestito carico di lustrini, e gli dà una mano gridando con più foga e più fiato le stesse parole. Io prego che nessuno di quelli del G8 li stia ad ascoltare: sarebbero capacissimi di, anziché azzerarlo, aumentare il debito, e mandare gli uscieri a pignorare le poche oasi rimaste, i rari pozzi d’acqua, le dune e persino i datteri sulle palme.


15.

Rientrando, come d’abitudine, chiedo a mia moglie se qualcuno ha telefonato per me. – Sì, - mi risponde, – il professor Di Girolamo. Nicola? La guardo incredulo, e non perché tra i possessori del mio nUmero  non  vi possa essere un professore  che abbia piacere, voglia, desiderio o capriccio di telefonarmi. D’altra parte il numero figura sull’elenco telefonico a disposizione di chiunque. La guardo incredulo per la semplicissima ragione che il professor Di Girolamo è morto qualche anno fa, in estate. Non lo dico a mia moglie, ma le raccomando: - Se telefona di nuovo devi dirgli che non sono in casa.


16.

La casa di fronte sembra disabitata. L’anno scorso, nei primi d’aprile, ho visto in una delle finestre una coppia di ragazzi. Si baciavano. Ho pensato fossero sposi novelli venuti ad abitarla, ma poi niente. E’ passata l’estate, poi l’autunno e anche l’inverno. Ogni tanto mi sorprendo a guardare se qualcuno è venuto ad abitare la casa, se i ragazzi che ho veduto in aprile sono tornati, coltivandomi in cuore un’assurda speranza. “Che te ne importa?”, mi dico. L’altro giorno, dalla finestra, ho visto un ragazzo di colore venuto nella casa di fronte a battere i tappeti: è aprile di nuovo.


17.

Romanzo criminale – Giunti all’ultimo piano, la bambina – graziosa nel suo vestitino tutto bianco – cercò ancora di sfuggirci, ma afferratale per entrambe le mani, la buttammo giù per la tromba delle scale. Poi andammo a mangiare. All’osteria di Rosa la pupa, Pepè il Cammello, detto così per il colore del cappotto, davanti a una padella di patate fritte, ci guardò male e minacciò con la forchetta; Bastiano Testa di pera, al solito, contava denari, ne aveva pochi ma li contava sempre.  Sariddu Faccia giarna, riandando ai fatti della giornata  si segnò, sospirò e disse: quello che è fatto è fatto.


18.

Nell’angolo, con un berrettino da polo, il pullover di lana, ché la sera è già fresca, parla, dice parole non udite da alcuno, le accompagna con ampi gesti, accarezzandole, indica qualcosa che non vediamo, apre deluso le brac¬cia, tenta persino un sorriso. Da questa parte (dalla parte dei vivi), tutto un vociare – io…io… - in cucina le donne si danno da fare: - Se volete, di là c’è la pizza. – Sei solo, solo e perduto col tuo discorso anch’esso perduto. Se c’era un messaggio ci sfugge. L’americano si stacca dalla copertina del libro, mi offre ciliegie rosse come piccoli cuori.

 

 
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