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Elena Švarc

 


UNA CARROZZELLA DIMENTICATA
ACCANTO A UN NEGOZIO

Un bimbo è stato dimenticato nella seta della carrozzella.
La madre è sprofondata nel luccichio del negozio.
Al limite del crepuscolo è già comparsa la notte.
Essa tira un paniere con bacche color sangue.
Si raggomitola e miagola un gatto,
Un lampione arde sotto la luna bassa,
Il piccolo giace sotto
Una parete appena inclinata,
È viva la parete, viva la seta, frusciano le fasce,
Ma lui non c’è, si è dissolto,
Lui non significa nulla,
Come quelle urla rauche attorno.
Di chi è il bimbo? Piange già da molto.
Urlano come uccelli sopra il ghiaccio,
E lui, vorticando, vi cade dentro da uno squarcio.
Un colombo dagli occhi rosa,
Volando a stento, mira alla carrozzella.
Si accalcano le ombre, il ghiaccio fruscia come un giornale,
Ma il lumino della mente luccica, non si è spento,
Anche se svanisce il suo olio santo,
Anche se ormai trema la sventurata fiammella
E si piega lamentosa.
Ma dov’è lei, i cari capezzoli, il tepore e la luce?
Ormai dovrebbe comparire.
E compare come una retina –
Perché si è decisa a sputarlo nel mondo,
E allegramente lo attira presto là
Dove tutto subito s’è obliato.
E lei non se ne accorge – il piccolo è dissolto
Nella notte, come un pezzetto di zucchero,
Ma lui risorgerà di nuovo, sì, emergerà di nuovo,
A una nuova oscurità e a una nuova notte.

 


NATAL’JA  ŠIŠIGINA –
STRUMENTO PER L’APPARIZIONE DEGLI SPIRITI,
UN GUANTO E IL TELEFONO


“Salve”.
La tartaruga del lampadario bronzeo,
Gli   specchi alti. Tutti agitarono la mano: ”Piano. Non svegliatela, piano.
Da molto ormai è caduta in trance”.
Davvero. Quarant’anni, e i capelli grigi,
Con una giacca antiquata ricoperta di peluche,
Negli occhi semichiusi il bianco emanava un’alba
                                                                    umida.
La mano, raddrizzata penosamente verso l’alto,
Scriveva su un foglietto, che stava sulla nuca.
Terent’ev era accanto – secco, con gli occhiali, un labbro
                                                                     floscio,
Era piegato verso di lei, come un vampiro innamorato.
Prese il foglietto, lei respirava così pesantemente.
Lui lesse; “È dura per me entrare così
In un medium, come in una stretta gola montana…
Sto bene… sono vicino… sono lontano…”
Terent’ev l’afferrò per la spalla
E sussurrò: “Chi sei, presto dillo”.
La Šišigina si ricoprì di sudore bianco
E cantò con voce grave di basso: “Avvakum”. (1)
Terent’ev tremò, pensò: “E Nastas’ja?”
“È con me la mia Nastas’ja” – disse.
“State bene lì?” – “Bene. Siamo soddisfatti”.
“Sic! – disse Terent’ev da una parte.
“Stiamo bene. Ma qui mi incalza
Un adolescente, deve essere un novellino.
Lo aiuterò, be’ è difficile senza destrezza
Per noi entrare in questi medium,
Come in un guanto stretto mai indossato”.
La voce di basso tacque, il fanciullo risuonò flebile:
“Sono Saša, mamma! Mi vedi?
Sono qui accanto, alla tua destra –
Be’, stendi una mano verso di me e vedrai”.
Lei afferrò con la mano l’aria spoglia
E respirò sonoramente, tutta impallidita.  
“Non mi vedi? No? Allora non è necessario,
Io invece ti vedo così bene.
Non piangere, ora sono diverso… completamente diverso.
Tu sei la stessa… io… io sono estraneo per tutti.
Non date la mia radio a Kolja,
Prima cresca, se no la romperà.
Io sto bene… dite a Nadja
Che sono diverso, che fa lo stesso.
E che non pianga. È difficile… io dopo…”
La dama sventurata cadde a terra.
Terent’ev: “Ts-s-s, che dirai ancora, Saša?”
“Sono stanco… dopo… non posso più…”
Terent’ev svegliò la Šišigina.
“Sono stanca, quasi avessi trascinato sacchi. Sono apparsi?”
“Sei stanca, povera, sono venuti due ospiti,
Su, bevi qualcosa presto.”
La dama beveva acqua, sussurrando le stesse
Parole: “La montò da solo e ne era molto fiero”.
E piangeva.
Inquieti bevvero il tè in silenzio,
Versarono del cahors alla Šišigina.
E si separarono.
Forse davvero i morti sono così vicini,
Che ci vedono e parlano con noi?
E hanno gli stessi pensieri, gli stessi svaghi?
No, no! È diversa la via delle anime dileguate…
Oh Dio! Sento il ghigno dei demoni malvagi,
Spie della nostra vita vuota,
Impietosi, sciocchi e abili,
Che vagano e volano ovunque,
Fanno passare i loro corpi immondi
Immortali attraverso i nostri – caduchi.
Bevono altezzosi la bevanda della stupidità
E puntano il dito sulla Tua reazione.

1978

Traduzione di Paolo Galvagni 

 

NOTA
1) Avvakum  (1660-1682), monaco e scrittore russo. Si oppose alla riforma del patriarca Nikon e si pose a capo sei “Vecchi credenti”, che, considerati eretici, furono continuamente perseguitati.

 
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