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GIORGIO MANNACIO: LIBRO D'ORE DI UN POETA LAICO

 

 

LIBRO  D‘ ORE  DI  UN POETA   LAICO
                                       
( Riflessioni sulla poesia e su qualche poeta )


di  Giorgio  Mannacio

 


1. Tempi  della poesia

L’esperienza sembra  contraddire l’esistenza – concettualmente ammissibile – di un poeta di una sola poesia o anche di due sole poesie.
Non desta invece sorpresa il pensiero di uno scrittore di un solo romanzo.
Si po’ azzardare un’ipotesi: il romanzo nasce nel segno della ridondanza; la poesia in quello dell’assenza.
Ma occorre subito intendersi per spiegare l’apparente paradosso
Ridondanza.
Il romanzo sembra voglia seguire, come materiale plasmabile, ogni momento e movimento dello scrittore e modellarsi secondo le pieghe della sua vita, riempirne totalmente il tempo. Mi piace pensare che la rivoluzione di Joyce non stia nell’introduzione di tecniche narrative inusitate o strane ma nell’intuizione che, alla fine, il romanzo faccia proprio il movimento incessante , quasi paranoico, dello spirito, assuma il carico del suo horror vacui e lo consoli con una produzione che è un incessante affabulare , esattamente sovrapponibile al tempo biologico.
Il romanzo è dunque quella sovrabbondanza che punta al molteplice attraverso l’unità.
Assenza .
Nella poesia è impensabile uno sviluppo che ripeta una vita o ne riempia i vuoti. Essa opera per riduzione o esaustione. Assume a proprio oggetto la sparizione dell’oggetto. Non a caso , forse, il primo poeta –istituzione dell’occidente è cieco, nonostante sulla sua opera  gravi il sospetto di un fraintendimento della poesia ( Mallarmè: prima di Omero c’è Orfeo )
L’attività del poeta è segnata da un punto di partenza che non è poesia; poi da una materia che per diventare poesia deve essere ridotta, scacciata dalla porta e dalla finestra fino a quando non diventi tanto piccola da non sembrare più nulla di quello che era e tanto grande da sembrare ancora riconoscibile.   
Di questo mi pare che parli Rilke nei Quaderni di M.L Brigge.
Ma anche la poesia ripete, in questo, il moto incessante dello spirito del quale vuole – anch’essa – cogliere la totalità. Al di fuori del tempo, ma nel tempo biologico che la rende possibile, la poesia non può presupporre che il concetto di punto. Solo una infinità di essi è totalità: solo uno di essi è atemporale.
La poesia è dunque quell’assenza che punta all’unità attraverso la molteplicità.
La differenza si vive già nella prassi dove la tensione è sempre al limite. Quando tutto è bruciato di ciò che sembrava indispensabile ( il paesaggio, il sentimento ) allora quasi niente è bruciato anche se ciò che resta non è nella ridondanza del quasi ma nell’assenza del niente. Solo il silenzio – suicidio è coerente con il tentativo di definire l’indefinibile. Ma ciò è fuori dalla poesia. La rivoluzione assoluta, sogno più o meno inconfessato di tutte le avanguardie, che nega l’espressione in nome dell’espressione non è un sentimento umano.
Rimbaud che smette di scrivere e non scrive più fino alla morte fisica ha già scritto; ha già perso la sfida che si è imposta.

( Molloy n. 5  ottobre – dicembre 1989 )

 

2 .  Fogli appesi ad una corda da bucato.

L’affermazione di Valéry secondo cui il primo verso di una poesia è dono degli dei esige qualche significativa precisazione e implica qualche notevole conseguenza. Quale è il senso preciso di essa? Certamente essa va letta come se contenesse un’altra parola e precisamente solo . Essa va , pertanto, così completata: solo il primo verso di una poesia è dono  degli dei.
Questa conclusione lascia in ombra alcune questioni.
Cosa significa esattamente primo verso è una di queste. L’autore de Il cimitero marino era di una tale accortezza filosofica che difficilmente avrebbe potuto alludere ,
con essa , alla posizione della parola stessa nel testo scritto.
Sono certo che egli intendesse prima parola come quella che dà origine alla composizione e non quella che si trova al principio del testo . Primo ed originario sono concetti diversi e dunque il termine originario può essere attribuito indifferentemente ad una qualunque delle parole ( o gruppi di parole ) del testo, quale che sia la loro collocazione nel testo.
Non possono esservi dimostrazioni scientifiche per codesta affermazione , ma solo testimonianze di modalità di un percorso creativo.
Se le premesse sono queste e l’aforisma ,. reso nella sua completezza , allude alla parola originaria, la pratica ( a prima vista bizzarra ) di Ludwig Hohl di appendere ad una corda da bucato gli appunti e gli aforismi che costituivano la sua opera, organizzandoli in modo sempre mobile e dunque provvisorio, diventa una essenziale proposta teoretica.
Nella sfilata degli appunti stesi alla corda del bucato ( e si potrebbe addirittura ipotizzare che essi siano  sistemati in circolo sì da non distinguersi principio e fine ) perde valore l’aggettivo primo e acquista invece senso l’organizzazione ( lineare o circolare : ma forse la distinzione non ha , a questo punto , ragione di esistere ) della totalità degli appunti.
Ad uno qualunque dei fogli appesi possiamo attribuire il carattere dell’originarietà e tutto il resto è organizzazione mobile.
E’ alla poesia , più propriamente che alla narrativa ( se si vuole , euristicamente , conservare tale distinzione ) , che questo modo di fare si addice in modo esemplare.
La parola o il gruppo di parole originari – il nucleo che dà tono all’insieme – possono risultare , a compimento , all’inizio, alla fine o in mezzo ,ma importante è riflettere sul fatto che ad essi si sono aggregati ( attraverso un procedimento che è mentale prima che psicologico ) le associazioni di parole o gruppi di parole che il poeta avrà individuato , disponendole mobilmente , sulla metaforica corda da bucato.
La seconda questione posta dall’aforisma di Valery è , in questa prospettiva , già risolta.
Se solo la prima parola è un dono degli dei , la composizione finale è frutto dell’attività che si può definire non più creativa in senso proprio ma inventiva , come quella che trova nei diversi fogli associabili e stesi sulla corda quelli da associare all’originaria parola  secondo un disegno compositivo nel quale entrano , in misura incalcolabile e in modo inscindibile , significato e armonia.
Vi è , nell’opera realizzata , un punto di non ritorno che Hohl non vuole vedere per coerenza teoretica o nella struggente illusione che la provvisorietà continua assicuri più della provvisorietà definitiva un valore assoluto alla creazione.
Probabilmente non può essere così.
Quel principio immanente in ogni attività umana secondo cui essa tende ad uno oggetto definito o definibile implica che il numero dei movimenti sia , alla fine , determinato.
Lo scacco matto positivo che chiude la partita nell’eccellenza del risultato si ha quando altra mossa non è possibile se non ripudiando il progetto originario e smentendola in maniera radicale. Ad esso si arriva ( e l’opera può dirsi perfetta nel senso etimologico ) attraverso un numero limitato di mosse non determinabili a priori.
Quando cambiando la collocazione di una parola o gruppo di parole nel testo quest’ultimo non ha più il senso originario ogni modificazione è una distruzione .

( Inedito )

 
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