SCRIVERE LETTERE
Alla domenica dopo la funzione scrivevamo lettere, tracciando con la matita linee su fogli per posta aerea. Gli [indirizzi sul davanti e sul retro spesso avevano lo stesso nome, la stessa iniziale persino, perché in certi paesi non ci si preoccupa di tracciare linee sottili fra i membri della stessa famiglia con l’alfabeto. Quelle che ricordavano il loro primo alfabeto ricoprivano la pagina di montagne di lettere svolazzanti mentre quelle che non ricordavano, provavano invidia. Fra di [loro c’era la linea sottile tra chi aveva un indirizzo che compitava la parola casa, e casa aveva il sapore dei paesi ancora caldo sulla lingua, ancora risonante del loro nome, e chi aveva un indirizzo che s’era raffreddato come un nome che nessuno sapeva pronunciare in un alfabeto privo di k-h. Alcune ci lasciavamo i nostri paesi alle spalle dove lasciavamo il nostro nome. Scrivevamo le nostre lettere a invenzioni della fantasia: indirizzi a tesori, cari, cercavamo di narrare tra lo spazio, cercando di indovinare le regole, sapendo che la scelta tra calore e riservatezza sarebbe stata per lealtà. Mentre imparavamo a memoria i nostri indirizzi, il cuore imparava un alfabeto fatto di porte, piazze, strade secondarie, dove le lettere dei bambini sapevano di straniero come le nostre di stranieri paesi. Paesi che più tardi rivisitammo; paesi che rivendicammo, che nuovamente rinnegammo, intrappolati tra due alfabeti, sul retro e sul davanti delle lettere. Mutano i nomi delle strade; muta la fedeltà; il nome di un re scambiato per quello di un santo. Persino l’alfabeto del cuore ha bisogno d’essere riorganizzato quando i vecchi indirizzi sprofondano sotto cavalcavia e i nuovi indirizzi non riescono a entrare in rubriche in cui i loro paesi son risaputi. In un alfabeto di silenzio, fatto di polvere, in cui la distanza fra caro e tesoro è il deserto, in cui nessun nome è tracciato sulla sabbia, nessuna mano scrive lettere d’amore, nessuno dei miei indirizzi riconosce la differenza tra accampamento e casa, nessuno dei miei due paesi fa di questo alfabeto motivo per scrivere lettere. EDEN
In questo paese la natura è verde su verde. Nel mio, spunta il verde da ocra, fulvo chiaro, grigio bruno- quali sono i colori della polvere? Impigliati tra gli alberi da frutto, altro non sono che mutamenti del sole? In questo paese albero ed erba sono totalmente l’un dentro l’altra, come nell’acqua. Nel mio, albero e polvere sono amici impacciati che solo chiedono alla stesso altare la stessa benedizione. Ma è la polvere che addensa l’ombre, l’albero che gioca sui colori filigranati dell’ombra. Quando l’ombra è profonda come l’acqua, bevono le radici a fondo e bevendo dalla stessa pozza, si diventa amici. Se soltanto fossimo noi albero e polvere. I miei figli, nati dall’aridità del mio terreno. Ed io immaginavo l’Eden. Traduzione dall’inglese di Eleonora Chiavetta.
Mimi Khalvati è nata a Teheran. Attualmente insegna scrittura creativa alla Poetry School di Londra.
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