TRAMANTI
fuoco che mi cammini dentro
dai piedi alla testa popolami delle tue fiamme libera le erbe dentro me e le spighe nei solchi della terra in un solo movimento segna le pareti della vita. Ho bisogno di sentire che mi bruci tu: semenza di cielo e terra legno che arde dentro la vena dei miei rami gesto che dispone il mio crescere. Tu crepiti dentro la mia piccola cella il buio e lo splendore di ogni stella i tuberi di primavera il serpeggiare dei pensieri i lari e il volto di chi si è fatto più distante. Sognami fuoco e fa che anche io ti insegua rosso su rosso ai piedi del cammino mentre si fa cenere tutta la vita. Non mi toccare Non mi toccare parola senza carne. Non venire con le tue scheletriche falangi a battagliare nelle trincee della mia ignoranza. No. Non mi lasciare addosso l’afrore dei tuoi ca’ valli. Nodo per nodo legàti alla mia coda d’asina. ti porto una faccia tagliata e uno sguardo tagliente uno spaccato senza assonometria una sezione aurea di archi balenati tra le vertebre sonore e i sonagli del lebbroso che mi soffia il suo male dentro la gola. L’ho cucito alla mia pelle facendone canzoni coltivazioni di colore cresciuto direttamente dentro il cervello smontato pezzo per pezzo dagli ingombri [della logica. Esposto ad ogni furia ad ogni turbine ad ogni nubifragio offre solo intersezioni tra livelli di fotoni agitati e spin vertiginosi. Eppure ancora, dentro tutto questo, trovo un gesto da donarti. Se strizzandomi la lingua facessi esplodere rose e cartine al tornasole declinassero per me la chimica di un bacio allora troverei un laccetto di cuoio e forte attorno alla parola inaudita lo attorciglierei. Starei in silenzio affinché i semi narrassero del mondo [la memoria e ogni pupilla ne stampasse la topografia aroma per [aroma. Anagrammaticherei il lido e la gondola per trovare che [solo uno è il luogo dei suoi magnifici tornanti. La neve delle parole sulla fitta notte slitta le nostre vite. Ho nascosto il turbine nelle mie vene per restare a guardarti. Stavamo insieme in mezzo a quell’acqua in quella città di suoni ricorrenti tra [canali e lagune. Il tocco delle pietre sotto i piedi scalzi e scalzo il tempo aveva steso damaschi la sua lievissima sostanza una camera adeguata al nostro essere insieme l’uno nell’altra due passi. E una voglia matta nelle mani nella bocca nelle gambe nella pancia. Ci spingeva avanti lungo i canali strusciando per spogliarci. Noi facevamo l’amore interi e intatti dentro il lampione dell’ombra esatti nell’arco della notte. Fino all’alba fino all’orlo: solo una linea. quando mi baci amore rovesciami il cielo dentro la notte come una scodella il latte l’estate nell’erba un mare di giallo restami lontano quanto un oceano e lungo la riva cercami di volta in volta dentro l’impermanenza dello spazio è per liberarla che sollevo alto il mio piede, perché lontana il più possibile possa spingermi e viversi senza essermi gemella oscura. Povera ombra che mi sta così devota sotto i piedi mentre le faccio le scarpe
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