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L'ULISSE di JOYCE nella trascrizione di CLAUDIO COLLOVA'

 

 


L’ULISSE DI JOYCE
NELLA TRASCRIZIONE DI CLAUDIO COLLOVA’


    Finalmente un’opera teatrale tratta da un testo letterario: l’Ulisse di Joyce, l’irlandese di Dublino vissuto per buona parte della sua vita a Trieste; insignito di un Premio Nobel antagonista a quello assegnato – con cura meticolosa e giudiziosa – dai giurati svedesi. Pochi sono stati coloro che ne hanno penetrato il mondo interiore, classicheggiante, onirico, articolato e disarticolato insieme finendo col rimanere abbacinati dalla complessità strutturale; il plurilinguismo del romanzo diviso per capitoli e finalizzato a una narrazione circoscritta a un viaggio circolare della durata di ventiquattro ore. Molti i personaggi, le elucubrazioni; ancor di più l’estraneità dello scrittore al mondo reale: salvo l’ambientazione a uomini e luoghi della sua città, però trasfigurati. Un’epopea dunque alla stregua di una Odissea attualizzata ed allo stesso tempo con rimandi al poema omerico. A tratti una discesa agli inferi, con qualche venatura di troppo – nell’Ulissage di Claudio Collovà al Teatro Bellini di Palermo il 10-14 febbraio 2010 – alla auspicata, da molti, resurrezione quando invece la tematica esistenziale e prodromica alle domande che si faceva l’autore era la metempsicosi.
    Siamo all’interno di uno spazio angusto. Pochi gli elementi scenici: una pedana che funge da catafalco; una sequela di mattoni in forma semicircolare sui quali gli attori eseguiranno esercizi di equilibrismo; una porta-ringhiera che separa l’al di là dall’al di qua; dei candelabri ed elementi affini a ricordare che si è dentro un cimitero. Nascono quindi spontanee le memorie; i ricordi di quando; il paradiso perduto. Pochissimi i giochi ludici dei tre attori impegnati nella rappresentazione (Filippo Luna, Davide De Lillis, Alessandra Luberti), molti invece i rimandi a scene di vita immaginaria; desideri repressi (la sodomizzazione); gli addii a luoghi cari e persone: un angelo presente a mitigare i distacchi – con la previsione di una ricompensa da ricevere nel mondo di là da venire. Efficace il doppio schermo televisivo con un paesaggio nuvoloso che azzera l’angoscia e fa sperare. Insomma un tormento, posti di fronte alla fine con qualche raggio di possibile sopravvivenza, un miraggio che alimenta la speranza.
    È tipico di Joyce fare dialogare – talvolta in modo strampalato – i suoi personaggi (si parlerà di merenda a base di burro e uova strapazzate anche quando si stanno affrontando problematiche complesse di natura religiosa senza sbocchi ma pur sempre complesse). Sulla scena si mima la trasformazione dell’uomo sociale in maschera con la conseguente scomparsa di essa una volta trapassati. Talvolta la voce dei due attori sarà duplicata per dare maggiore risalto al senso – o non senso – del pensiero che si sta esponendo: l’uno sovrasta l’altro e viceversa creando quasi una eco di fondo suggestiva perché inusitata in teatro. Molte le fasi di stasi, di stanca: com’è il portare sulle spalle il fardello della vita intrisa – in soggetti come Joyce – di ricerca di misteri da svelare o quantomeno sfiorare per quindi riversarli nel lettore. Il fascino, nel romanzo è dato dalla molteplicità di tecniche narrative; nel lavoro teatrale invece è espresso dal lento dipanarsi dell’interrogazione sull’io, il cogito di cartesiana memoria. Non fu molto apprezzato il romanziere irlandese, giudicato subito foolish e perciò rifiutato dai vari editori inglesi e francesi che allora monopolizzavano il mercato. Apparve comunque la sua opera per effetto del sostegno, alle spese necessarie per la stampa, da parte di grandi pensatori suoi pari, estimatori quindi ed in parte anche amici. Un universo, quello dell’Ulisse suscettibile di grandi scoperte ove si voglia ancora scandagliarne gli aspetti più riposti. Un altro grande scrittore di lingua inglese da prendere a modello da chiunque voglia accostarsi alla letteratura per poi, eventualmente discostarsene lasciando però trasparire la vicinanza se non la discendenza da quell’autore.

Ignazio Apolloni

 

 
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