IO ed ALEJANDRA
(Dedicate ad Alejandra Pizarnik) Io ed Alejandra
Perché non abbiamo vissuto insieme Alejandra La nostra infanzia disperata che aveva balocchi Di dolore? Avremmo unito le mani del destino Sopra di noi, scambiandoci i nostri doni Di tristezza e i canti degli usignoli, nel buio, Quando non dormivamo, perché le notti erano profonde E belle senza la voce ossessionante del mondo Quando è sveglio. Alejandra, mia cara, abbiamo cominciato Allora a intrattenerci con la morte, lo stupore in gola, Un roveto di more nere nel petto. Quante volte ce ne stavamo A giacere supine sulle piastrelle fredde di marmo del balcone A contare le stelle lontanissime e poi pregavamo che Ci cadessero addosso come gocce di lacrime luminose: Oh - dicevamo - che preziosi ricami le luci, i corni oscillanti Della luna , e quante dolci ombre! E chiamavamo una folla Di parole, che avevano la musica dei vetri che si spezzano: Ci risuonavano nell’orecchio le loro incrinature, E finalmente cullate, l’oro in bocca, le farfalle notturne Sugli occhi, ci addormentavamo sognando di essere là, Prima del mondo, prima della menzogna che lo ha generato. Iniziazione
Scegliemmo per la nostra iniziazione Una notte di luna nera. Mano nella mano Ci sdraiammo sotto una grande quercia ventosa. Oscillavano le ombre sulle nostre teste, i nidi Con i passeri impauriti, le cinture celesti. Il tempo. Lei mi chiese dimmi cosa vedi - La tua bocca, Alejandra, è un tulipano rosso - Chiudemmo gli occhi e la terra e il cielo Scrissero sulla nostra pelle i loro enigmi. Eravamo tenere ma già cadute Nella più profonda delle vertigini. Ci dicevano oscure e minuscole le nostre Compagne perché stavamo radiosamente sole. Le maestre parlavano di dislessia: in verità Una strana preghiera aveva riempito la cima Delle nostre lingue: Dio, non darci le parole quotidiane Che cadono l’una sull’altra come germogli Mai aperti nel gelido vuoto della mente. Tra i viali del nosocomio Com’eri pallida, Alejandra, tra le rose bianche Cresciute sulla neve di gennaio, mentre a voce bassa Ripetevi: La poesia è distanza e fa soffrire! - Ma tu tremi, amica! - ti dissi- Appoggiati al mio braccio. - Io non posso… non ho più il coraggio di parlare Le senti? Alejandra! Alejandra! Mi chiamano Notte e giorno ed io le avvolgo tutte In un lenzuolo. Ma non smettono mai di torturarmi Nemmeno tra queste mura bianche d’ospedale. Ed ho tanta paura! – e si guardò le mani. Camminava lentamente accosto ai rami Tra barbagli di luce ed ombre verdi. - Alejandra, mia graziosa luna, ti rammenti quando Contemplando aprimmo quella porta e Le nostre anime fuggirono nell’altro cielo viola? Andiamo adesso: il vento già scuote e morde la finestra Ma tu, sorella, non piegarti al suo soffio. Di’ all’angelo Della morte: Perdonami! Fu solo un cedimento del cuore Fu la Bellezza a spalancarmi il baratro di luce! - Tosatori e macellai
Alejandra, com’ è stato duro salvarci e ricoscerci Con noi ragazze sono stati tutti tosatori e macellai: Le nostre madri giunsero con forbicine d’acciaio E ci raschiarono un poco la lingua canterina. Noi la medicammo con misture di miele ed albicocche Poi piombarono i padri – gli invincibili barbari – Sulle zolle sognanti delle nostre terre, e Con vanghe, rastrelli, cesoie, recisero fiori, Potarono rami, estirparono i tuberi buoni. Noi ci rifugiammo di corsa nella cantina e E bevemmo coppe di vino immortale. E le vecchie, tritando tutto il tempo nei mortai, Ci dissero che la vita somiglia ad un coniglio Spaventato che il Mago ha nascosto nel cilindro. Ma noi urlammo forte contro il destino e ci facemmo coraggio. Quando addosso ci crebbero le dolci primizie Ce le rubarono i ragazzi sotto angusti soffitti. Ma noi pronunziando formule sotto quarti di luna Appendemmo alla porta ghirlande di suoni. Ognuno, a suo modo, pensava di averci smussate, Appiattite, levigate, come ciottoli muti nel farsi della vita. Invece, Alejandra, abbiamo salvato il nostro cuore. Che fiamme, che ardori, che canti avevamo covato Nei nostri nidi celesti. Quanti no, quanti viaggi diversi! Fummo spietate come falchi, tenere come tortore tubanti. Ed ora io ed Alejandra dobbiamo parlare. Siamo donne D’amore, Sirene che vivono nelle viscere fonde del mare. Lettere Cara Alejandra – scrissi un giorno – solo a te posso dire Come sono, perché nessun’ altra così mi somiglia. Amo soltanto le creature senza risurrezione: Gli alberi, i fiori, i passeri che come fiotti di puro Movimento attraversano il cielo e il sole e la luna E le stelle che cadranno con il Tempo in frantumi. Tutto ciò mi è successo da quando gli altri dissero: E’ solo una bambina, non può vegliare tutta la notte! Così lasciai la sua mano di cera che ciondolò Un poco sulla coperta. Da allora, Alejandra, Sono cresciuta, come te, nella luttuosa distanza. E adesso, dimmi, che cosa dovrei fare? E lei così dopo qualche tempo rispose: Mia cara, Sono sicura che prima o poi ti accadrà che quella Tua cosa oscura diventerà una luce accecante. Ma Noi poeti dobbiamo perdere gli occhi per vedere. Presentazione Questa, figlio mio, è Alejandra, la piccola argentina. Ti prego chiudile gli occhi, quando va a dormire, Che non vedano più le radici buie del mondo: E’ questo che la sta facendo soffrire. Trattieni fino all’ultimo, fra le tue, le sue mani Violacee di lividi e di graffi: più volte è caduta In quel punto che era destinato alle rivelazioni. Portale solo bicchieri d’acqua limpida e fresca, Dopo avere sgomberato il comodino di pillole e flaconi. Temo, infatti, che lei mediti di darsi la morte: Ha scritto in una sua poesia che vuole Cadere da se stessa come i fiori di lillà. I due fiumi Perché singhiozzi così? Non è tua la colpa. Dimentica ogni cosa ed immergiti con me Nel fiume ombroso che scorre, che ci affonda. Il tempo non esiste ed una sola è l’acqua che ci chiama. L’Elster e il Riuchileo abbracciati insieme come noi Scivoleranno sui nostri corpi lucidi come pesci, Levigati come frammenti di vetro, confondendo Le nostre lacrime. Verrà il vento, poi, all’improvviso, Ci tormenterà con le sue dita, squassando la superficie. Scoloriremo come affreschi in dissoluzione, ombre dell’ ombra. Ci colmeremo di nero, cieco e pesante,ancora nero. Niente. Ah, Alejandra, come gioiremo! Il luogo sottratto Se avessimo potuto, Alejandra, restare insieme Nel luogo sottratto, se il nostro esistere fosse stato Soltanto un ruotare intorno alla fiaba del dire, Come Sherazade avremmo sospeso il destino. Vivremmo protese soltanto alla musica, Partoriremmo senza dolore parole dalle parole. Chiuderemmo tra le dita il firmamento e le stelle. Invece qui non esiste luogo dove fermare La corsa delle nostre anime ardenti. Se guardo Nei tuoi occhi così grandi, capisco cosa pensi: Fu un peccato terribile la creazione e noi due Nascemmo col mare dopo un dedalo di labirinti. Parlando di morte e di poesia “ Dicono che i miei versi siano strani e perversi. Perché non provi a spiegarglielo tu, che ricordi Come il nostro cielo divino si è bucato, lasciando Il cuore segnato di strappi neri e misteriosi. Loro non sanno quanto sia buio il varco Da cui le parole ci chiamano e come mai Non smetta la bocca di gridare qualcosa. “ “ Non angosciarti, Alejandra. Dobbiamo solo Aspettare che l’Angelo della poesia si distragga E ci sleghi le mani, che chiuda per sempre le sue ali. Non dobbiamo piangere quando saremo sole, Quando avidamente morderemo la polpa della mela. Solo trasgredendo ancora potremo ritrovare l’Eden. Come sarà bello ( ci pensi ?) scivolare come due fiori Di lillà nel suono senza suono del Silenzio! “. Alejandra, adolescente Quella notte, la luna, gli alberi muti ed immoti. Ma né bellezza, né colori, né profumi transitavano Oltre la crudeltà e la cecità del tuo corpo. Eri tu. Un’adolescente sola ed assorta Sotto i rami d’argento, e nei tuoi occhi Dove si dissolveva la rete dei simboli Ogni cosa diventava un’isola senza approdo. Quello che seppi versò altro spavento Nel cuore spaventato. Io vidi nel tuo viso La dolcezza dell’angelo e lo sguardo ambiguo Del demonio. E riconobbi nei cerchi lunari Delle tue magre ginocchia una sorella dimenticata. Stringendoci celebrammo l’unità indicibile, e Il tempo cadde così lontano che ci ubriacammo D’aria e come due allodole fummo pronte a volare.
La madre di Alejandra Da quando Alejandra è in ospedale La madre va dicendo alle vicine Che quella figlia le ha messo paura Sin da quando, attaccata al suo seno, La fissava con uno sguardo serio, senza riso, Come un muto rimprovero. L’aveva detto Al confessore: Alejandra non è come le altre. Forse è un angelo grave disceso dal cielo Che ha subito compreso tutto il male del mondo. “Ma tu la ami?” le chiedono le donne. E lei Risponde che dà stanchezza volerle bene, Ma che talvolta da lei le vengono bagliori Di una gioia insolita e che allora corre Ad abbracciarla e sente di annegare in un oceano. La madre di Alejandra somiglia ad una statua di dolore. Ogni tanto io e lei parliamo un poco insieme. Io la consolo: Non deve avere rimorsi. Persone come me ed Alejandra Forse confondiamo gli altri. Anche mia madre non sapeva se doveva amarmi. La pioggia
- Quanto affanno nel pianto senza fine della pioggia! - Dicesti ad occhi aperti perennemente stupiti Come se per la prima volta vedessero il dolore . Guardammo insieme gli alberi frastornati, L’erba fradicia, il fango, le piaghe che sciupavano le rose, Finché, accostando le bocche, respirammo il fiato sui vetri Solo per compassione della vita. Il silenzio profondo Delle stanze vuote, il freddo acuto giunsero al cuore Come messaggeri di un sogno o di un evento luttuoso. - Ci pensi, Alejandra? Svaniremo così come due lacrime Goccianti. E le nostre parole, sacre come le ostie? Torneranno mai a brillare in giorni piovosi come questi?-
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