Ifigenia in Aulide
Ho finalmente smesso di cercarti. Un malinteso lungo quanto la mia vita.
Persino quel giorno sulla bianca spiaggia tra sassi e ciuffi radi mentre incontro ti mandavo la mia giovenca, ho cercato nel tuo occhio un fremito, una luce per me che venivo dietro. Dietro il sacrificio che avevi promesso. Era l’imbrunire, nella fessura del tuo sguardo opaco nella corteccia serrata delle tue labbra volli vedere l’autorità del principe la grazia del padre. Insieme, a ricomporsi. Bianca la missiva della madre: Salvati, fai in modo di… Bianca la mia giovenca come sempre ...da quando lo immaginavi, Bianca la mia veste ..davvero il mio sangue per favorirti il mare? Si. Ma piuttosto per chiudere il tuo regno la tua vita su te, la mia morte come un sigillo su ogni possibile mia discendenza, sul filo che da solo volevi avvolgere. Perché temevi lo scorrere dei giorni sulle vie hai fatto della tua reggia un simulacro, e al coraggio turbinoso dell’amore hai preferito lo scoglio del silenzio. Una palude di parole e atti noti. Fermo fisso. A smuoverti, violento. Un cuore di crisalide nel bozzolo. Che mi sono ostinata a difendere anche sulla Porta dei Leoni dalle maledizioni taglienti di lei. Se avesse potuto ogni giorno per dieci anni a Troia ti avrebbe raggiunto. Ti avrebbe ucciso. Avrebbe sparso su te il veleno nero che le ha offuscato il sangue e imprigionato il corpo; per un gesto mancato lei ora siede immobile alla finestra. In attesa con le mani scolpite. E all’improvviso ho visto ogni cosa. Il morso al fianco che mi mandò via, come l’ animale braccato che sente il pericolo e fiuta le stelle perché altro non trova. E va, con la sabbia nel costato scintillante nel buio, come un rimorso incerto un tremore antico; la parola che cerca scampo. La mia colpa di essere viva. E da Tauride, più volte in sogno sono tornata, ancora oggi mi sono chinata sul tuo vecchio capo a tenerti la fronte, ma la grigia pena di noi due si è persa nel bianco. Diafano. Appena una vampata guizzante il mio odio. Mentre sputavi piccoli fiori rossi. Ifigenia in Tauride
Non voglio riconoscerti. Perché fratello non sei stato e ti accolgo straniero su questa isola, nell’alto e decorato tempio accenderò ancora il sacro fuoco perché illumini il tuo sacrificio.
Resto sorda al tuo richiamo ai racconti che svolgi, della nutrice comune della grande cisterna scura e fresca per i nostri giochi d’estate, del megaron odoroso e caldo. Rami secchi. Anche il nome di lei Clitennestra, e lo pronunci appena, non apre più vele nei miei occhi scuri, nelle mani che hanno dovuto farsi sicure per il gesto che Artemide comanda. Odioso alzarsi della lama aspro ricordo ripetuto, mancato su di me echeggia ogni volta per altri sull’altare. Ifigenia Ti si rovesciarono gli occhi e l’anima, grandinavi parole in un vortice acceso di rabbia e livore non addomesticato. Mi lasciasti partire ..Amore mio grande.. Un bacio ancora, madre. Va bene anche costui per aprirmi il varco, e la strada sarà un’altra. E i bagliori nei tuoi occhi divennero strane creature, tramavano negli angoli bui indicavano la soglia accanto ai Leoni. Lì si sarebbe rappreso il sangue, un tappeto rosso d’ingresso alla cittadella.
Fantasmi da incerti nomi giungevano a me lontana, Egisto forse. Altrove e senza fretta si preparava la tragedia Sarebbero stati cambiati nomi e sentimenti sarebbe rimasta la porta dei leoni. Impostore mio fratello dello stesso seme debole e meschino carnefice e vittima di questa farsa recitata.
|