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GIOVANNI MIGLIORISI - TESTO DI VITO CAMPO

 

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Strutture


Linee rette; linee che s’inseguono nello spazio a formare geometrie.
Linee curve, no; le linee che formano queste “geometrie a mare” e non “geometrie de mare”  sono tutte rette.
Il mare è la location pretestuosa, compiacente, romantica e malinconica dove Giovanni colloca le geometrie che diventano elementi rievocativi, che da strutture formali diventano movimento, musica, anima.
La spiaggia, la rena sono gli elementi che supportano le sue geometrie. E le geometrie sono tutte sue; ricercate, volute, scovate, scoperte, analizzate nella loro funzione, non semplici significati ma complessi significati.
Perché scegliere il mare per poi relegarlo e ridurlo al ruolo di sfondo? Forse perché quel mare non presenta elementi di disturbo, non incombe con la sua invasività o con la sua forza immane; eppure è lì, più presente che se fosse il soggetto principale, rimanendo tuttavia isolato ed impresente.
Forse Giovanni ci ha voluto presentare il mare a modo suo: non parlandone.
Ma il mare e il cielo sono qui; entrambi calmi, piatti, uniformi, innocui, spazi quieti su cui stendere linee rette, linee spezzate, incrociate, oblique, sfuggenti, vicine, lontane; incombenti presenze che ci rimandano a realtà parallele, immateriche; mentali.

Un solo colpo d’ala: lacere reti frangivento che tentano il volo.

Le geometrie riconducono e ricordano la presenza dell’uomo nella spiaggia e sulla sabbia, se la figura umana fosse presente, sarebbe una presenza di disturbo.
Eppure è lì, in quelle strutture abbandonate, in quelle scritte che s’intravedono appena, nei passaggi non recenti che s’indovinano, in quei manufatti umani dimenticati, abbandonati, non curati, non più utili, non più nuovi, non più cercati; strutture a suo tempo amate e volute ma, al momento, lasciate alla decomposizione e all’assalto muto del tempo; segnali, meglio segni, che Giovanni ha colto, ha indovinato e adesso ci presenta.
Le linee si cercano, si sfiorano, si oltrepassano, si annullano, si moltiplicano; è come un dialogare pretestuoso e provocatorio ma necessario e vitale.  E’ un gioco immoto eppure dinamico il cui movimento risulta indispensabile. La materia concreta, quotidiana, presente, marcescente a volte, ci trasporta nel territorio immaginifico e perfetto delle forme geometriche, eterne nella loro essenza.
Le finestre, le griglie, le assi, gi intavolati, il corrimano, le canne e le capanne, le barche, le ombre, spezzano la linea dell’orizzonte ma non intaccano la solitudine e il silenzio della marina, sono più un sipario, una grata che un’apertura verso….
L’artista, in questa circostanza, ci presenta strutture e manufatti del quotidiano, all’apparenza senza alcuna importanza; ci mette dinnanzi una realtà minimale, fatta di piccole cose, di segni appena percettibili, di oggetti dimenticati e secondari. Una realtà, una vita, un’esistenza che sommessamente vogliono ancora esistere e, per fare ciò, scelgono un significato altro da sé, che l’artista ha esplorato con delicato sguardo interiore ma, nello stesso tempo, con acutezza: un viaggio cauto, attento e timoroso, eppure spericolato.
Prevalgono i grigi e i toni chiari, mancano i neri profondi, i toni forti come a non voler ammettere, a non voler accettare, la presenza (forse la necessità?) del dramma e del contrasto, fermandosi, o meglio, costringendosi  a contemplare la malinconia. Ma ciò non si accorda con l’irrequietezza di Giovanni; o sì?

Un unico colpo d’ala, il vento fra le reti frangivento.

                                                                                                                                          Vito Campo

 

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