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GraGRAZIELLA SCIVOLETTO - TESTO DI ANDREA GUASTELLA

 

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Come una creatura viva
La ceramica raku di Graziella Scivoletto

Ho conosciuto la scultura di Graziella Scivoletto a una mostra di un amico pittore, che era stata preceduta da una sua esposizione. Tre delle sue opere, ceramiche confezionate secondo l’arte nipponica del raku, stavano in basso a uno scaffale, sotto una luce indiretta, in attesa di un posto migliore. Il proprietario, come seppi più tardi, non era un collezionista svagato, ma il titolare della sala mostre, che non voleva tenersi lontane le statuette né dagli occhi né dal cuore. In effetti, una volta scoperte, distogliere lo sguardo da esse e passare oltre era impossibile; sorgeva, anzi, spontaneo fermarsi ad ascoltare il vento e la fiamma che le avevano plasmate e che ancora le animavano di un’energia spiazzante. Il caso volle che, quella sera stessa, incontrassi l’autrice, e subito decidessimo di discutere un po’ delle sue cose. Quale la mia sorpresa non appena, recatomi qualche giorno dopo nel suo atelier, mi vidi consegnare da lei un foglio con impresse, in grafia chiara ma decisa, le seguenti parole: “Quando lavoro è come se mi immergessi in una realtà diversa, ai confini di quella reale. È l’ingresso in una nuova dimensione, ricca di sensazioni e di ricordi, dove il sogno e l’immaginazione prevalgono e mi trascinano in uno spazio al di fuori dal tempo: è lì che fantasia e realtà si incontrano e si fondono senza alcuna contraddizione. Incido l’argilla con forza e tenerezza allo stesso tempo, seguendo l’istinto; i colpi di spatola lisciano, graffiano, segnano la lastra d’argilla trascrivendo ciò che mi detta il cuore e la mente. Prima che il fuoco l’aggredisca, durante l’ultima cottura, il segno e il colore lasceranno le loro impronte, io la mia testimonianza”. E ancora: “Il ricordo delle precedenti esperienze emerge quando dai richiami al figurativo passo all’astrazione dell’informale, senza scosse, come per un evolversi naturale e appagante perché privo di condizionamenti; pertanto la libertà di espressione raggiunge livelli impensabili: rivivere la massa di argilla informe e trasmettere ad essa parte di se stessi, creare dalla terra, è qualcosa di magico, si riesce a intravedere il concetto stesso della creazione”. Solo un artista primigenio, dissi tra me, un uomo in totale sintonia con la sua arte, può concepire in tal modo l’atto artistico. La Scivoletto non crea infatti imitando direttamente un oggetto di natura, bensì seguendo un ricordo, un’immagine mentale che le mostra tale oggetto sotto l’aspetto più semplice e chiaramente intelligibile. Perciò, se ella vorrà foggiare un ulivo, lo farà a memoria, e il risultato sarà un albero che avrà i tratti salienti della sua specie, ma non sarà la copia di un ulivo determinato (e contingente). Questa è la consuetudine dell’arte primitiva, e posto che il progresso in arte non esiste e la Pietà di Michelangelo non vale più della Venere di Willendorf, la Scivoletto non ha di che lagnarsi dello stare in compagnia dei cavernicoli. Del resto, come mi spiega lei stessa, il raku non è semplicemente una tecnica di lavorazione dell’argilla che si differenzia dai sistemi tradizionali per la particolare cottura: raku è una filosofia, significa vivere in equilibrio col cosmo, in armonia con gli uomini e le cose. Un’armonia ricercata dall’artista anche in splendidi, accuratissimi lavori su legno, dove il condizionamento della materia, con la sua fitta trama di nodi, è ancora più stringente. Fatto sta che, sia che nella natura si trasfonda, sia che da essa si lasci a sua volta modellare, la scultura della Scivoletto si tende e respira come una creatura viva. Al punto che la sua esistenza “in uno spazio al di fuori dal tempo” mette in dubbio la nostra. 

         Andrea Guastella

 

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